ALP n° 170 June 1999 – Text pages 70 – 74
UN PROLOGO
Tre gocce d’acqua, tre differenti destini. Proviamo a immaginare tre gocce d’acqua che cadano sulle diverse pendici del Gottardo, snodo importantissimo delle acque europee. Ebbene, ognuna di esse percorrerà un proprio cammino: la prima scenderà nel Rodano, la seconda seguirà il corso del Ticino per confluire nel Po, la terza affronterà un percorso tortuoso sino a raggiungere, lungo il Reno, le gelide acque del Mare del Nord. Ognuna di esse porterà in se, inconsapevole, una sorta di “peccato originale” , costituito di particelle infinitesimali e indesiderabili. Nei cieli d’Europa, infatti, si è caricata di anidride solforosa, ossidi d’azoto, polveri varie e metalli pesanti. Insomma, è diventata “acida”, e la “pioggia acida” è uno dei grandi e ancora insoluti problemi delle Alpi.
UN INTERMEZZO
L’acqua ricopre il 71% della superficie terrestre ma rappresenta una frazione minima del volume del nostro pianeta (l/7000). Di questa quantità pur sempre enorme (1,41 miliardi di chilometri cubi), soltanto il 3% è acqua dolce, di cui è realmente disponibile solo lo 0,014%: non un granché.
Ben un terzo della popolazione mondiale vive con risorse idriche precarie e insufficienti! Le montagne costituiscono, nella maggior parte dei casi, un luogo privilegiato. Le masse d’aria, incontrando queste barriere naturali, scaricano il loro bagaglio di vapore acqueo, che si trasforma in pioggia o neve. In Europa le montagne non mancano e le Alpi, che sono state incluse tra le catene più importanti del pianeta in quanto a risorse idriche, costituiscono il principale serbatoio del nostro continente.
UNA CHIAVE DI LETTURA
Si fa presto a dire «chiare, fresche e dolci acque». Per capire come e sino a che punto il fenomeno delle “piogge acide” si manifesti nelle nostre montagne, siamo andati a Pallanza, sul Lago Maggiore, dove si trova l’Istituto italiano di idrobiologia del Cm.
Al dottor Rosario Mosello, primo ricercatore dell’Istituto, abbiamo chiesto di fornirci qualche dettaglio sul cammino percorso dalle nostre gocce: «Occorre dire – spiega Mosello – che le acque che scendono a valle e che alimentano i grandi laghi subalpini (Maggiore, Lugano,Como, Iseo e Garda) non sono acidificate perché fra le rocce sono presenti carbonati e altri minerali in grado di neutralizzare l’acidità. Tuttavia, a quote più elevate può capitare che alcuni laghi alpini, situati nei massicci composti da graniti e gneiss, presentino un certo livello di acidificazione. Dal punto di vista ecologico, i numerosi progetti di ricerca europei ai quali l’Istituto ha partecipato hanno chiaramente posto in evidenza che gli ambienti dei laghi d’alta montagna sono, ovunque essi si trovino, piuttosto simili, relativamente semplici anche nella loro ricchezza biologica, e si può affermare che le deposizioni atmosferiche hanno sostanzialmente alterato il loro equilibrio. Questo fenomeno è ben dimostrato dallo studio dei sedimenti effettuato nel corso degli ultimi decenni.
Nonostante ciò, la situazione è in una fase di evoluzione positiva a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, da quando verifichiamo una minore emissione d’inquinanti acidi nell’atmosfera, che quindi si riflette nella qualità della pioggia».
IN CATTIVE ACQUE
Le nostre gocce scenderanno poi ancora più a valle e quasi certamente incontreranno uno sbarramento artificiale: nelle Alpi sono oltre un migliaio. Questi laghi artificiali tuttavia non costituiscono in se un pericolo per l’acqua. «La maggior parte esiste da alcuni decenni – continua Mosello – e ha raggiunto un proprio equilibrio. Il problema principale è costituito dai corsi d’acqua a valle degli impianti, che hanno perso quasi totalmente la loro vitalità». Per gli amanti del canyoning ogni letto di torrente asciutto è una nuova avventura da vivere, ma per l’equilibrio ecologico del torrente è la fine.
Comunque sia, attraverso le condotte forzate di un impianto idroelettrico o i salti di roccia, le nostre goccioline arriveranno più in basso, poniamo sotto gli ottocento metri di quota. «A questa altitudine – rileva Mosello – i termini del problema mutano radicalmente. Nei primi anni settanta, a causa degli scarichi urbani e industriali, per tutti i laghi prealpini italiani è iniziato il periodo nero. Quasi tutti hanno dovuto affrontare problemi di eutrofizzazione»: un modo per definire in termini scientifici il loro lento processo di morte.
PARADOSSI
A partire dagli anni cinquanta, proprio nel momento in cui iniziano a perdere popolazione, le montagne si riempiono invece di rifiuti, sia civili che industriali. La ragione è il diverso utilizzo dei rifiuti stessi. In un’economia cosiddetta agro-silvo-pastorale essi costituiscono una risorsa riciclata in loco; ma poiché i centri montani vanno dotandosi di un nuovo sistema fognario che incanala i rifiuti in un unico sbocco, ciò che prima serviva per concimare i prati, ora giunge a valle, senza dar tempo al fiume di neutralizzare alcunché. Insomma, se la goccia che scivolava verso il confine italiano poteva rallegrarsi di aver perso il suo carico di acidità, ora rischia di trovarsi veramente in cattive acque.
ALTRE GOCCE, ALTRE STORIE
Così, avvicinandosi a Pavia, le acque del Ticino lentamente peggiorano. In questo tratto avviene il prelievo più consistente: sessanta per cento dall’industria, poco meno del quaranta per l’agricoltura. Quel che ritorna al fiume dopo il passaggio nei campi è pieno di fertilizzanti e pesticidi. Varia infinitamente quello che ritorna dagli impianti industriali. La percentuale minima utilizzata per scopi civili è prelevata in genere dalle falde sotterranee. Ognuno pensa per se, convinto che non si arriverà mai al momento di svolta; al contrario, invece, si rischia di arrivare presto al punto di non ritorno.
Le altre gocce cadute sulle pendici del Gottardo avranno forse una vita più fortunata! Almeno sotto l’aspetto dell’inquinamento civile e industriale. Percorreranno altre valli, ma i problemi da affrontare saranno i medesimi e questo, probabilmente, accomunerà il loro lungo viaggio al mare.
ITALICI VELENI
La situazione oggi è molto migliorata grazie a una forte campagna di sensibilizzazione e, soprattutto, alla costruzione di impianti per il trattamento degli scarichi fognari. È questo il punto in cui le scelte degli esseri umani fanno la differenza. Le acque del Lago Maggiore provengono in parti uguali dal territorio svizzero e italiano, a sua volta distinto fra parte
piemontese e lombarda: da quest’ultima arriva circa il 70% del fosforo totale. I corsi d’acqua, congiungendo Paesi e regioni differenti, vivono spesso simili contraddizioni; e poiché è recente la necessità di sfruttare organicamente tale risorsa, non vi è ancora omogeneità di regole e abitudini. A tal fine, negli anni sessanta è stata istituita la “Commissione internazionale italo-svizzera per la protezione delle acque” e recentemente è stata emanata una legge-quadro; ma le politiche regionali sono ancora ferme.
Che cosa sono le piogge acide?
L’acidità dell’acqua si misura in pH, che si basa sulla presenza dello ione idrogeno. La pioggia non inquinata ha un pH intorno al 5,6 mentre le acque di un lago in buona salute dovrebbero avere valori di p H compresi tra sette e otto. Al di sotto di un pH 4,5 i pesci muoiono. Secondo gli esperti, la causa principale dell’acidificazione della pioggia è costituita da ossidi d’azoto e di zolfo prodotti dalle centrali termiche, dal riscaldamento e dai mezzi di trasporto: tutti bruciano combustibili fossili.
Che cos’è l’eutrofizzazione?
Il termine eutrofizzazione indica un complesso di fenomeni fisici, chimici e biologici conseguenti a un abnorme sviluppo di alghe unicellulari (fitoplancton), derivante dall’eccessivo apporto di fosforo dai suoi immissari e proveniente da scarichi civili e fertilizzanti. La crescita di questi particolari organismi provoca un eccesso di ossigeno nelle acque superficiali e, talvolta, il suo completo consumo nelle acque profonde causando la formazione di composti tossici e indesiderabili.
Blue rivers for Europe
La campagna “Blue rivers for Europe” è stata lanciata nel 1997 dal gruppo internazionale “Amici della Natura”.
Questa associazione fu fondata a Vienna nel 1895 e il suo motto si può sintetizzare così: «pensa globalmente ma agisci localmente». Questa campagna si occupa di monitorare le condizioni di numerosi fiumi, intraprendere azioni per il recupero dei corsi seriamente danneggiati, attuare una campagna di lobbying presso i politici dei governi nazionali e del Parlamento europeo, affinché vengano approvate leggi che tutelino l’ambiente fluviale.
Sull’altro versante delle Alpi, in Francia, nel dipartimento Rhone-Alpes, la Federazione per la protezione della natura (Frapna) sta realizzando un progetto che coinvolge migliaia di scolari. Si tratta di un programma di sensibilizzazione, organizzato da “Alp Action”, destinato a creare una nuova consapevolezza nei giovani studenti francesi. Dopo una ricerca sul campo, sono loro a proporre rimedi contro lo spreco d’acqua. Secondo Cecile Fouvet, direttrice del progetto, «la soluzione della gestione idrica e dell’inquinamento non è data soltanto dalla tecnologia; sul lungo termine, l’unico approccio percorribile per una migliore gestione delle risorse è costituito da un’elevata consapevolezza della popolazione».
L’Istituto di Idrobiologia di Pallanza
Situato in un imponente edificio sulle rive del Lago Maggiore è uno dei centri del CNR (Consiglio nazionale per le ricerche). Vi lavorano oltre una trentina di ricercatori di diverse discipline che si occupano degli aspetti fisici, chimici e biologici dei laghi, dei fiumi e delle acque meteoriche che li alimentano. Le ricerche studiano i laghi nella loro condizione naturale e le diverse forme di alterazione (eutrofizzazione, acidificazione, inquinamento da metalli pesanti da altri composti tossici), al fine anche di individuare le strategie migliori per il risanamento. Una parte importante è sempre stata dedicata allo studio dei laghi d’alta montagna.
Dagli anni settanta queste ricerche sono sviluppate in collaborazione con altri paesi della Comunità europea, Istituti italiani e persino con il Club Alpino Italiano.
Oggi la banca dati raccoglie informazioni su circa 650 bacini e possiede la più completa raccolta di dati in Italia. «Il lago d’alta quota – spiega Andrea Lami, ricercatore dell’Istituto – è un sistema complesso, assai più ricco e indicativo delle condizioni delle acque dei singoli immissari. Studiando un lago ricaviamo informazioni, non solo sul corpo idrico in se stesso ma anche di tutti i corsi che vi fanno affluire le loro acque e, quindi, ci dà informazioni su un’area molto vasta. Studiare i sedimenti raccolti sul fondo di un lago (estraendo la cosiddetta carota), vuoi dire raccogliere elementi, non solo della storia presente e passata del lago stesso, ma anche di tutta l’area da cui provengono le sue acque».