Sand Belt

Golf e Turismo September 2016 Text & photo pages 82 – 90

SECONDA PARTE DEL NOSTRO VIAGGIO NELLA ZONA SUDORIENTALE DELLA GRANDE E BELLA ISOLA-CONTINENTE. DOPO I FASTI DELLO STRAORDINARIO ROYAL MELBOURNE, ECCO LA SERIE DEI CIRCOLI CHE SI APRONO NELLA SAND BELT: UNA VERA SORPRESA, CON PERCORSI CHE NON SFIGURANO DAVVERO DI FRONTE ALL’ICONICO E SONTUOSO CAMPO “REALE” 

Con quattro milioni di abitanti, i suoi grattacieli che si specchiano nelle acque del fiume Yarra e la sede della SBS, la seconda rete radio nazionale pubblica che trasmette in ben 43 lingue, Melbourne è a tutti gli effetti una vera metropoli. Tuttavia non appare caotica come quelle asiatiche o americane e conserva ancora un aspetto europeo, un ritmo di vita più a misura d’uomo e un understatement tipicamente anglosassone. 

Un’atmosfera che si acquieta ulteriormente già a pochi chilometri a sud della city, lungo la Mornington Peninsula, una lunga lingua di terra dal suolo sabbioso che chiude ad arco l’immensa baia su cui si affaccia la città: un luogo ideale per giocare a golf. 

È qui infatti che si trovano i magnifici campi della sand belt, la “cintura di sabbia”. Alcuni di essi incarnano la storia del golf australiano e per voi siamo andati a visitare i migliori. 

Il Kinston Heat G.C., il Victoria G.C. e il Metropolitan G.C. sono sostanzialmente dei parkland e la tipica vegetazione australiana offre la splendida cornice nella quale si sviluppano i loro tracciati. Il St. Andrews G.C. e il The Dunes Golf Links sono invece la quintessenza dei links australiani, situati tra la rada vegetazione delle dune costiere e la spiaggia lambita dalle onde dell’oceano. 

Quello che fa la differenza è invece ciò che sta sotto ai curatissimi fairway e ai larghissimi green, e che si scopre non appena si devono affrontare i profondi bunker fatti di sabbia fine e bianca. È questa la particolarità della sand belt: terreni di gioco molto duri e al contempo in grado di assorbire velocemente molta acqua. Anche dopo un violentissimo acquazzone sono sufficienti quindici minuti affinché l’erba sia di nuovo asciutta, il terreno durissimo, il velluto raso del green nuovamente in perfette condizioni e velocissimo. E così la pallina salta e salta ancora, poi rotola e finisce la sua corsa molto oltre il limite di quanto ci si aspetti normalmente. Può essere un vantaggio ma occorre essere ancora più precisi del solito, altrimenti è inevitabile che la pallina finisca la sua corsa nelle poco amorevoli braccia di una serie infinita di bunker. 

Di norma, nei par 4 e 5, sia i fairway che il second cut sono ampi e tagliati molto bassi; nei par 3 invece sono quasi assenti. Il rough è assolutamente impietoso e al riguardo consigliamo vivamente di leggere il box delle curiosità. Tuttavia anche in tanta abbondanza di spazio le linee ottimali di tiro hanno sempre angoli esigui e lunghezze precise. Pure i bunker non scherzano: l’uscita verso il green è sempre e di gran lunga la più difficile e talvolta al loro interno contengono vere isole di rough. I green, sebbene ampi, sono elevati e molto modellati e invitano la pallina troppo veloce a terminare sempre nei bunker che li difendono: assolutamente sempre. La loro difficoltà secondo lo slope rating varia dal 129 del Metropolitan G.C. al 141 del The Dunes G. Links. E poi c’è il vento, che qui è un elemento fondamentale del gioco. Che sia costante da sud o che sia variabile, come spesso è il tempo a Melbourne, raramente è solo una brezza leggera e può cambiare completamente le difficoltà del percorso persino durante lo stesso round. 

Il livello di qualità offerto dal Royal Melbourne Golf Club, di cui abbiamo parlato nel numero precedente, ha imposto a tutta la sand belt una continua ricerca d’eccellenza che ha fatto di questi campi dei veri capolavori di ingegneria golfistica: Il Kingston Heath si posiziona 2° nel ranking australiano e ai vertici mondiali mondiale, il Victoria è considerato al sesto posto, il Metropolitan all’11° in Australia. Giocare su questi campi può essere molto impegnativo ma è sufficiente attardarsi un po’ lungo i wall of fame di questi tre club per scoprire quali campioni vi abbiano giocato e quali imprese siano avvenute negli oltre cento anni della loro vita. 

Kingston Heath ha protetto il suo campo arrivando ad acquistare oltre cento ettari di terreno per un solo percorso di 18 buche. In realtà le buche sono 19 e quest’ultima viene utilizzata in sostituzione di altre durante i lavori di manutenzione più impegnativi. I disegni originali di Dan Soutar (1925) e Alister Mackenzie (1929) furono realizzati da Mic Morcom, lo stesso greenkeeper del Royal Melbourne. Ne nacque un campo particolarmente impegnativo di 6.347metri di grandissimo valore. Non è un caso se Tiger Woods, dopo aver vinto qui l’Australian Masters del 2009, si espresse così: “Non c’è bisogno di avere un campo di oltre sette chilometri perché sia difficile. Ne puoi costruire uno come questo. Renderlo bello e complicato, ed è proprio fantastico giocarci”. 

Il Victoria non è da meno e nella prima metà del secolo scorso ha avuto anche il merito di sfornare un gran numero di campioni australiani come Peter Thompson, Harry Williams e Dough Bachli. 

Disegnato da William Meader, Oscar Damman e Alister MacKenzie, il campo ha un aspetto simile al Royal Melbourne, ma i bunker sono ancora più accentuati e il livello di difficoltà appare leggermente superiore. Tra le sinuosità del suo percorso si distingue la 11, par 4 e signature hole di 370 metri, dove il secondo colpo ha strettissime linee di tiro e un green nascosto e ben protetto sulla sinistra. 

L’ultimo di questi tre è il Metropolitan Golf Club che con- divide le stesse origini del Royal Melbourne, ma fu fondato nel 1908 quando alcuni dei suoi membri scelsero un destino autonomo. Il terreno acquistato nel sobborgo di Oakleigh si è trasformato in un magnifico giardino botanico, straordinariamente ricco di piante e arbusti nativi dell’Australia. Le sue 18 splendide buche hanno fatto da cornice a numerosi Australian Open e P.G.A. Championship e visto confrontarsi giocatori come Gary Player, Jack Nicklaus e Arnold Palmer. Al terreno meno ondulato dei due precedenti fanno da contraltare bunker più aggressivi. La sua maggior difficoltà è costituita dalla 15: un lungo e arcuato par 4 di 427 metri il cui fairway giunge a un green con forti pendenze e bunker che sembrano divorarne i bordi. Un difficile par 3 funge da 19a buca aggiuntiva. 

Più a sud, nella penisola di Mornington, si trovano infine le due vere grandi sorprese di questo viaggio: St. Andrews G.C. e The Dunes Golf Links. Perché sono rispettivamente 7° e 8° in Victoria (13° e 14° in Australia) e sono public course. Qualcosa a metà tra un pay and play e un club di modestissime dimensioni, ma con due links da favola. In realtà occorre dire che se la club house del St. Andrews è poco più di un pro shop, quella del The Dunes è assolutamente di ottimo livello. Disegnati rispettivamente da Tom Doak e Tony Cashmore sono sempre apparsi tra i primi quattro links in Australia. Benché le varietà di erbe e arbusti siano ovviamente diverse, sembra di giocare in mezzo alla festuca e all’erica di Scozia e Irlanda. E non si pensi che siano facili poiché aperti a tutti: hanno rispettivamente uno slope rating di 130 e 141. Il terreno è ovviamente molto ondulato, spesso la linea di tiro è solo intuibile e i bunker sono vere e proprie trincee. Qui il vento è ancora più arbitro del gioco ma il profumo dell’oceano è il fragore delle sue onde sono qualcosa che merita veramente portarsi a casa, dopo essere stati dall’altra parte del mondo.