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Il ritorno del Gipeto – La prima volta che lo vidi volare

Rivista della Montagna n° 257 May 2002  Text & photo pages 56 – 61

La prima volta che vidi volare un gipeto (Gypaetus barbatus – Avvoltoio barbuto) non riuscii immediatamente a focalizzare cosa fosse. Era troppo grande rispetto a qualsiasi altro uccello mai visto nei cieli di montagna e troppo piccolo, non troppo per la verità, per essere un deltaplano. Ero nei Pirenei spagnoli e stavo salendo, in automobile, i tornanti che portano al Passo del Somport verso il confine con la Francia. Mentre mi apprestavo a fare l’ennesima curva “lui” fece una lieve cabrata, per seguire il ritmo del pendio che stava sorvolando a bassa quota in perlustrazione. Fu così che mi mostrò la sua silhouette, il colore rossastro del corpo, la coda affusolata anziché tronca delle aquile, ma quando infine mi fermai la sua figura era scomparsa alla vista, oltre il profilo di un vallone. Il gipeto è un grande avvoltoio, con un’apertura alare di quasi tre metri, e fa lo spazzino della natura. Riciclando gli animali morti è l’ultimo e utilissimo anello della catena alimentare. Come tutte le specie di avvoltoi deve perlustrare aree vastissime per procacciarsi il cibo e perciò è un abilissimo volatore.

La sua particolarità è costituita dall’aver scelto di vivere nelle grandi catene montuose e dal prediligere, soprattutto in età adulta, le grandi ossa degli ungulati che rompe lasciandole cadere su rocce appositamente scelte. In Spagna viene chiamato “quebrantahuesos” (spaccaossa). Da qualche anno è possibile vederlo anche nei cieli delle nostre Alpi: è una grande emozione di libertà e, insieme, il segno che la natura delle nostre montagne riprende i suoi ritmi ancestrali. 

La vicenda di questo avvoltoio è emblematica. Si era infatti estinto, nelle Alpi, nei primi anni del ‘900 a causa di una caccia indiscriminata. Per oltre cinquant’anni ne rimasero alcuni esemplari in alcuni zoo europei, rasentando la definitiva estinzione. Un primo tentativo di reintroduzione avvenne negli anni ’20 ma non ebbe successo. 

Nel 1975 iniziò il processo che ha condotto alla situazione attuale: fu a causa di un lieto evento e ad una felice intuizione dell’etologo austriaco Hans Frey. Nello zoo di Innsbruck una coppia di gipeti in cattività iniziò a riprodursi con regolarità e successo. Frey ripropose l’esperimento in altri zoo e dopo alcuni tentativi il numero delle coppie e dei nati aumentò gradualmente. In quel momento divenne necessario coordinare gli sforzi e creare la FBVC (Foundation for the Conservation of the Bearded Vulture – Fondazione per la conservazione dell’Avvoltoio Barbuto). 

“Ricordo – racconta M. Bijleveld van Lexmond, presidente della fondazione – che iniziammo a ragionare sulle reali possibilità nel ’75. Allora la situazione era molto difficile: non avevamo che ventotto esemplari, tra adulti e sub adulti sparsi tra gli zoo europei, e di alcuni non se ne conosceva nemmeno il sesso. Fu lo zoo di Innsbruck a dare inizio agli eventi. C’era anche interesse a Ginevra e in Alta Savoia. Paul Geroder primo presidente d’onore e ornitologo egli stesso si mosse con entusiasmo per realizzare nel ’78 in Svizzera la conferenza che diede vita alla nostra fondazione”. 

È passato molto tempo da allora e l’organizzazione di quest’impresa è diventata assai complessa, diffusa a livello internazionale e suddivisa in tre settori: l’allevamento in cattività, il rilascio all’interno dei parchi alpini, il successivo monitoraggio per acquisire nuove conoscenze e controllare l’evoluzione del progetto stesso. 

L’ultima riunione operativa è avvenuta recentemente nel Parco Nazionale del Gran Paradiso. Dal 18 al 20 ottobre 2001 il centro parco di Val di Rhêmes ha ospitato i forum di lavoro dei gruppi “ungulati” e “rapaci” che costituiscono il momento di sintesi e di coordinamento di tutte le varie iniziative dei parchi naturali e nell’arco alpino. 

L’allevamento 

Hans Frey è il coordinatore dei centri di allevamento. “Avevamo già alcune esperienze di allevamento in cattività di altre specie – spiega l’etologo – e così tentammo l’esperimento con i pochi sopravvissuti che ci erano rimasti. Dall’unica coppia che si riproduceva regolarmente nel ’75 siamo ora passati a ventiquattro, ma soltanto dall’86 si sono avviati i rilasci in natura. Adesso collaborano al progetto circa 30 zoo europei. Abbiamo circa 15 deposizioni di uova ogni anno ed una schiusa di 30-40 “nidiacei”. Ogni primavera vengono rilasciati 8 individui, gli altri contribuiscono ad accrescere l’allevamento in cattività secondo i criteri convenzionalmente utilizzati per le specie in grave pericolo di estinzione. Tuttavia non è facile costruire le coppie, quando si scelgono è per la vita e sono piuttosto selettivi”. Così non è difficile trovare Hans Frey o uno dei suoi collaboratori in qualche aeroporto europeo con un gipeto come “bagaglio a mano”. In fondo, come sostiene l’etologo: “è il modo più sicuro e veloce per trasportarli”. I notevoli costi dell’allevamento sono stati sostenuti principalmente dallo zoo di Francoforte e dal WWF ma non basta ancora. Secondo Frey “occorrerà continuare almeno per altri 5-10 anni sino a raggiungere una popolazione alpina di circa 200 esemplari: il numero minimo per permettere ad una popolazione, anche geneticamente, di sopravvivere nel lungo termine”. 

La situazione nei diversi parchi 

I parchi naturali sono l’altra grande risorsa necessaria alla reintroduzione di questa specie. Sono territori protetti, con una natura ancora incontaminata, con una grande riserva di cibo e ,soprattutto, con amministrazioni e personale fortemente motivati a realizzare il progetto. Alcune di queste aree si sono rivelate particolarmente favorevoli. 

Nelle Alpi Marittime si trova il parco omonimo che confina con quello francese del Mercantour. Entrambi fanno parte del primo gruppo di quattro siti di rilascio insieme all’Alta Savoia (massiccio del Bargy), al P.N. Svizzero e al P.N. Alti Tauri in Austria. In Piemonte i primi rilasci avvennero nel ’93. Patrizia Rossi, direttore del parco italiano, spiega come procedono i lavori: “I progetti richiedono all’inizio un grande sforzo di organizzazione e di messa a punto delle varie fasi. Oggi è un lavoro di routine, ci sono i rilasci che avvengono ad anni alterni (2001 Mercantour, 2002 Alpi Marittime) e c’è l’organizzazione di monitoraggio costituita con tutti i partners. Anche il rilascio è un rito che si ripete: in questi anni ne abbiamo effettuati 17 ma è difficile sapere se sono ancora qui. Meunier, liberato da noi nel ’93 è stato ucciso in Francia, di altri non sappiamo. Non ci sono coppie stabili ma gli avvistamenti sono comunque frequenti. C’è anche il “Club degli amici del gipeto”, una iniziativa che coinvolge turisti e alpinisti. Tutti coloro che hanno inviato le loro osservazioni ricevono un bollettino (gipeto informa) ed è un bel gruppo di gente che resta in contatto”. 

Più a nord, il Parco Nazionale del Gran Paradiso e quello francese della Vanoise costituiscono un’altra area di vitale importanza. “Le osservazioni si erano un po’ rarefatte – spiega Michele Ottino, direttore del parco aostano – perché c’è sempre stata una interferenza con l’aquila reale ma quest’ultima estate ne abbiamo rilevato una maggior presenza e individuato un posatoio. Ciò ci fa sperare a future nidificazioni ma riteniamo che il parco possa lanciare la sua candidatura a divenire un sito di rilascio, non solo di transito per quelli della vicina Vanoise”. 

Il Parco Nazionale Svizzero in Engadina e quello italiano dello Stelvio costituiscono anch’essi un territorio omogeneo. “Lo Stelvio – spiega Luca Pedrotti, direttore – è divenuto solo di recente sito di rilascio ma ha beneficiato del lavoro degli svizzeri. Due coppie di uccelli hanno infatti nidificato in territorio italiano, a Livigno e a Bormio. Quest’ultima ha avuto l’unico piccolo felicemente involato nelle Alpi nel 2001. Una terza coppia sembra che si stia sistemando in Val Zebrù e stiamo monitorando la situazione con molta attenzione”. 

Nonostante il parco austriaco degli Alti Tauri sia stato il primo ad ospitare i rilasci, soltanto una coppia si è sinora stabilita nel suo territorio. È, in ogni caso, un luogo d’elezione per effettuare avvistamenti. 

Il monitoraggio 

Dal 1986 sono stati rilasciati 106 uccelli e quasi nessuno si è stabilito nel territorio di involo. Il 30% circa è perito. Le penne decolorate, per riconoscerli più facilmente negli avvistamenti, vengono cambiate con la muta generalmente dopo i tre anni d’età. Per conoscere l’evoluzione della situazione è stato necessario costituire una rete di osservatori estesa lungo l’arco alpino. Per gestire questa enorme massa di dati è stata creata l’IBM (International Bearded vulture Monitoring) con sede a Vienna e diretta da Richard Zink cui giungono, attraverso i 16 centri regionali di coordinamento, tutte le segnalazioni della rete di 3000 collaboratori. “Esistono due poli di attrazione per i gipeti – spiega Richard Zink – uno è costituito da Engadina/Stelvio/Alti Tauri ad est, l’altro dall’Alta Savoia/Vanoise ad ovest. In queste due aree è sicuramente avvistabile il 50% circa degli uccelli presenti nelle Alpi”. Presto sarà a disposizione di tutti i ricercatori una grande banca dati con date, foto, posizioni e percorsi di ogni esemplare. 

Il futuro 

Paolo Fasce, segretario della Fondazione, si esprime in termini positivi: “Su di una popolazione stimata di 67 individui abbiamo una percentuale di 4,4 giovani nati in natura per anno: un risultato molto buono. La percentuale di uccelli con riproduzione a buon fine è del 45,7%. Tutto ciò lascia ben sperare soprattutto se i programmi europei LIFE e INTERREG potranno continuare ad aiutare il lavoro sin qui svolto”. 

“Purtroppo – sostiene Van Lexmond – una delle ragioni più alte di mortalità è ancora costituita dal bracconaggio e dall’avvelenamento. Tuttavia – conclude il presidente – questo può essere il caso, assai raro, in cui i promotori di un progetto di reintroduzione di una specie ne possano vedere l’esito conclusivo e felice”. 

Scheda tecnica 

Gipeto (Gypaetus barbatus): dal greco gyps (avvoltoio) e da aetos (aquila). Apertura alare compresa tra 265 e 285 cm. Non esiste dimorfismo sessuale anche se le femmine sono leggermente più grandi dei maschi. In volo spiccano le ali strette ed appuntite e la coda affusolata simili a quelle del falcone. Colore del piumaggio: parti inferiori, testa e collo chiari, dal bianco al rossastro; parti superiori scure, grigio ardesia; testa interamente piumata con caratteristici “baffi” rigidi che scendono ai lati del becco. I giovani, in volo, hanno un aspetto meno slanciato, con penne remiganti secondarie più lunghe: il minor carico alare consente un volo più lento e migliore sfruttamento delle “termiche” ascensionali. Le ali degli adulti sono invece strutturate per utilizzare meglio i venti regolari d’alta quota. 

Una volta formata la coppia è generalmente per la vita. Depongono di regola 2 uova ma in natura ne sopravvive uno solo: il più forte,generalmente il primo nato, uccide l’altro (in cattività le uova vengono sostituite da calchi in gesso). Si involano in media il 116° giorno quando raggiungono già le dimensioni adulte. Quelli nati negli zoo sono liberati verso il 100° giorno e viene dato loro cibo (alcuni chili di carne al giorno sino a luglio). A quelli rilasciati vengono decolorate alcune penne per consentirne il riconoscimento. Viene anche dato loro un nome di battesimo ed uno in codice, riportato nell’anello di marcatura. Tra i tre ed i sette anni compiono la “muta” al cui termine sono adulti e riproduttivi. 

L’osservazione in natura 

Fintanto che sono giovanissimi è facile osservarli: non sono che grossi tacchini in un anfratto. Dopo l’involo restano un po’ in zona ma tendono ad effettuare voli sempre più lunghi: alcuni possono volare anche 6-8 ore al giorno a meno di un mese dal primo “decollo”. Come in tutte le specie ci sono individui più o meno aggressivi o socievoli, sedentari o erratici. Nel periodo di crescita frequentano le diverse zone delle Alpi e non solo: “Gelas”, rilasciato nel Mercantour nel ’97, ha fatto il percorso Savoia-Olanda nel giro di una settimana. 

Richard Zink, il responsabile del monitoraggio, non teme l’alpinismo come fattore di disturbo anzi l’aiuto di escursionisti ed alpinisti all’osservazione è utilissimo. E’ sufficiente una “zona cuscinetto” di 6-700 metri intorno ai nidi riconosciuti. Il Parco delle Alpi marittime organizza gruppi di osservazione (a 400 metri dal nido e con potenti binocoli) e distribuisce delle “cartoline di segnalazione”. Non è sempre necessario andare in alta quota per avvistarli: “Meunier” era solito vedersi sopra le Terme di Valdieri (CN), così come anche alle Terme di Bormio la migliore postazione è costituita dalle sdraio intorno alla piscina. 

Gipeto nel web: 

http://web.tiscali.it/ebnitalia2/QB005/index.htm : quaderni di birdwatching 

http://www.wild.unizh.ch/bg/ : sito ufficiale svizzero della fondazione 

http://www.gypaete-barbu.com/ : sito francese della A.S.T.E.R.S. 

http://www.ebnitalia.it/gipetip.htm : a cura di EBN Italia 

http://www.stelviopark.it/Italiano/index.htm : sito del Parco Nazionale dello Stelvio 

http://www.nationalpark.ch/area-it.html : sito del Parco Nazionale Svizzero dell’Engadina 

http://www.parks.it/parco.alpi.marittime/index.html : sito del Parco Naturale Regionale delle Alpi Marittime 

http://www.parc-mercantour.fr/ : sito del Parco Nazionale francese del Mercantour 

http://www.npht.sbg.ac.at/frameENG.htm : sito del Parco Nazionale austriaco Hohe Tauern (Alti Tauri)