ALP n° 163 November 1998 -Text pages 74 – 83
A meno di cinquanta chilometri da Montpellier una breve catena di montagne si innalza sopra l’assolata pianura del Midi francese. Sono le Cevennes, che insieme al massiccio del Lozère e agli altipiani delle Causses costituiscono la regione meno popolata di tutta Francia e insieme quella dove i contrasti naturali sono più forti e inaspettati. Ci sono deserti di sabbia e di pietre, mari di dune che vanno a morire nelle onde degli oceani e desolazioni di ghiaccio in cui la vita ha perso la sua sfida con gli elementi. Le Cevennes invece sono un deserto creato dal secolare lavoro dell’uomo, dove incredibilmente la natura regna ancora sovrana. Non sono molto alte. I 1565 metri del Mont Aigoual non costituiscono certo una barriera invalicabile e sono così vicine al Mediterraneo che l’azzurro del mare quasi s’intravede dalle cime più alte. Eppure le acque dei fiumi più importanti finiscono, dopo un lungo cammino, nell’Oceano Atlantico: l’Allier nella Loira, il Tarn nella Garonna. Qui si trova anche uno dei più vecchi e bei parchi francesi: il Parc national des Cevennes, che venne istituito nel 1913. Il suo territorio comprende anche il massiccio del Mont Lozère (1699 m) egli altopiani delle Causses Noir, Mejean e Sauveterre. Come tutti i parchi ha lo scopo di proteggere la natura e le specie in pericolo di estinzione, ma tra queste ultime, come ha dichiarato sorridendo il direttore Benoit, «c’è anche l’uomo».
I tre ambienti
Le Cevennes non hanno un’unità amministrativa ne una uniformità naturale. Sono piuttosto un affascinante miscuglio di ambienti molto diversi tra loro con un’unica caratteristica che li accomuna: la quasi totale assenza di persone. Questa è la regione meno popolata di Francia e in alcune aree la densità scende a soli due abitanti per chilometro quadrato. La linea principale dei rilievi si sviluppa da sudovest a nordest. I fiumi hanno scavato valli profonde nella roccia scistosa e talvolta scendono a valle con furia devastatrice. Qui tuttavia si trovano i boschi più estesi. La quercia domina i versanti meridionali, il faggio e il pino quelli a settentrione, ma è il castagno che da circa mille anni prospera su questi pendii e costituisce la principale fonte di sostentamento dei “cevenoles”, gli abitanti delle Cevennes, che lo hanno affettuosamente ribattezzato “l’albero del pane”. Un tempo costituivano la risorsa principale per l’uomo, ma oggi i quarantamila ettari di castagneti sono una fonte preziosa di cibo per gli animali del bosco.
A nord di questo sistema si trovano due aree completamente wverse: il massiccio del Mont Lozère egli altopiani delle Causses. n primo è un lungo massiccio di granito arrotondato alla sommità, dove i pascoli sembrano sospesi nel cielo. Il secondo è una piattaforma calcarea dove il Tarn e la Tonte hanno scavato profondi e ripidissimi canyon dove si raccolgono tutte le acque della regione per la gioia dei canoisti. Seicento metri più in alto, intorno ai mille metri, sulle Causses le pecore pascolano su distese aride e ciotolose apparentemente senza fine. In primavera il.vento muove l’ erba di questa prateria creando l’illusione di un mare di onde che si perde all’orizzonte. D’estate invece le Causses mostrano il loro volto più aspro, il mare d’erba si secca e resta solo una enorme tavolozza colorata di tutte le sfumature della terra bruciata. L’acqua piovana viene immediatamente assorbita dal terreno calcareo e alimenta il complesso sistema idrico sotterraneo.
Ci sono strade e sentieri ma il caldo arroventa l’aria e appanna l’orizzonte, non ci sono villaggi o altri punti di riferimento. Guai a perdersi e soprattutto a non dotarsi di una buona riserva d’acqua per il cammino. Tuttavia proprio queste grandi distese boscose o assolate non sono affatto “naturali”. Nonostante la scarsa presenza umana è stato proprio l’uomo a modellare queste terre. Già seimila anni fa questi luoghi erano stabilmente abitati e secolo dopo secolo il paesaggio è stato gradatamente trasformato. Non lontano è stata recentemente scoperta una grotta dove i primi abitanti delle Cevennes raffigurarono la loro vita. Non è ancora visitabile ma alcuni ritengono possa essere anche più importante di quella di Lascaux. Oggi le Causses non sono più ricoperte da foreste di querce, non vi pascolano più bisonti e cavalli selvaggi come nei dipinti preistorici ed i segnali più sicuri per non perdere il cammino sono ancora le opere dell’uomo: ogni tanto un menhir, un masso oblungo, si erge verticale dal terreno, simbolo del sole e della sua forza fecondatrice. È stata quest’opera di trasformazione a sostituire l’unica grande foresta che ricopriva l’intera regione con una diversità di ambienti “aperti che offrono cibo e rifugio alle specie legate alla pastorizia, come l’avvoltoio e la civetta. Benoit, direttore del parco, sostiene che la grande sfida di questi anni è quella di mantenere la presenza umana in questa regione: «Negli ultimi decenni abbiamo perso 15.000 ettari di terreno agricolo. Se il fenomeno dovesse continuare le specie legate agli spazi aperti sarebbero minacciate e noi rischieremmo di perdere una parte della nostra biodiversità. Non desideriamo un’agricoltura qualsiasi ma solo quella rispettosa degli equilibri ecologici. Del resto noi consideriamo l’uomo parte integrante della natura».
Le Cevennes sono state da sempre un luogo eletto pèr i grandi viaggi sia dell’uomo che della sua anima. Dall’antica via del sale che dalle coste del Mediterraneo saliva alle alte terre del Rouergue, ai vari percorsi del pellegrinaggio a Santiago de Compostela. Dalle vie della seta delle valli delle Gardes a quelle non meno importanti del vetro. Da queste parti passò anche il giovane Robert L. Stevenson che qui, accompagnato da un’asina, incontrò la sua prima wildemess. Infine ci sono le vie più spirituali che condussero i Catari prima e i Protestanti poi a cercare rifugio in queste dure montagne dove trovarono anche forza e ispirazione per là loro fede.
Il deserto dei camisards
«Se trent’anni fa i camisards (i protestanti costretti alla guerriglia per sopravvivete alla repressione cattolica) erano l’immagine delle Cevennes, oggi lo è la natura». Sono ancora parole di Benoit. Eppure in questa trasformazione non c’è nessuna contraddizione. Uno dei compiti che si è assunto il parco è quello di preservare la cultura orale della regione: «Un paese singolare dove la gente è restata in strettissimo contatto con l’ambiente naturale». L’etica protestante ha assunto qui dei connotati specifici nei suoi confronti.
Obbligati a rifugiarsi nelle valli più remote, i “cevenoles” furono costretti a misurarsi con una natura aspra, quasi selvaggia, che tuttavia impararono a conoscere ed amare. Un amore necessario all’inizio, quasi spirituale alla fine.
«Non bisogna dimenticare che il protestantesimo è la religione della parola – conclude Benoit – È tradizione che le persone facciano anche ore di cammino per andare a parlare con gli altri confratelli, raccontare storie, trasmettere notizie. Gli abitanti delle Cevennes sono persone caparbie e autonome e la natura invece di separarli li ha ancora più uniti».
I camisards vissero la loro resistenza, il loro “deserto”, tra la fine del ‘600 e la metà del ‘700 come la ripetizione della fuga di Mosè dall’Egitto. Una repressione feroce li spinse in questi boschi dove in autunno si sente bramire il cervo e nei torrenti vivono lontre e castori; ma i cevenoles non vi trovarono solo un rifugio, ritrovarono anche una parte importante della loro identità. Non è forse questa la ragione per cui un uomo decide di attraversare il suo deserto?
Stevenson, uno scozzese a dorso di asina
Era un giovane scozzese ma sua madre era francese. Forse è per questa ragione che, non ancora trentenne, decise di affrontare la sua prima “wilderness” nel midì francese: un clima più consono alla sua cagionevole salute. Partì da Le Monastier (Puy en Velay) per arrivare a Sainft Jean du Gard accompagnato da un’asina, Modestie, che trasportava i suoi bagagli. Nel 1880 fu pubblicata la cronaca del suo viaggio: Travels with a donkey (“Viaggi con un asina”).
Il libro resta ancora una delle migliori guide per scoprire le Cévennes. Con la sua vena descrittiva limpidissima ed il suo delicato umorismo, Stevenson vi tratteggia i caratteri dei “cénenoles” con simpatica ironia e le sue avventure con l’entusiasmo di chi affronta il proprio cammino come un viaggio alla scoperta di sé (due dei suoi più famosi capolavori, L’isola del tesoro e Dr. Jeckill e Mr. Hyde, usciranno dopo pochi anni).
Ancora oggi è possibile emulare le gesta e rivivere le sue esperienze: bagnarsi nei corsi d’acqua, dormire sotto le stelle, fare incontri insoliti. Grazie a una sapiente organizzazione e accompagnati proprio da un asino. Percorrere il tratto centrale della via di Stevenson può costare da due a tremila franchi francesi e si possono ottenere indicazioni sui prezzi, organizzazioni e itinerari sia alla sede del pardo che all’ufficio del turismo di Lozère. È un modo semplice di viaggiare ma riserva grandi soddisfazioni.
“Io non ho così spesso goduto di un più sereno possesso di me stesso né mi sono sentito più indipendente dagli aiuti materiali – scrive Stevenson esprimendo il senso della sua avventura – Avevo cercato un’avventura per tutta la vita e trovarmi così, un bel mattino, per azzardo, su un picco del bosco del Gévaudan, fu la realizzazione dei miei sogni quotidiani”.