ALP n° 169 May 1999 – Text and photos pages 34 – 35
È proprio il manto verde a dare forma e carattere alle montagne, che siano i rilievi della Sicilia o quelli del nord della Finlandia. Ciò a cui si attribuisce un valore principalmente estetico è in realtà fonte di vita per un numero enorme di specie viventi e, soprattutto, per milioni di esseri umani.
Dopo i disastri dell’ultimo conflitto mondiale, in Europa e in Italia le foreste si sono accresciute in modo costante e perlopiù incontrollato.
Inoltre, le politiche agricole del dopoguerra si sono rivelate inadeguate a gestire la silvicoltura e soltanto verso la fine degli anni ottanta si è compresa l’importanza di questo patrimonio naturale. Una conseguenza di questa nuova attenzione è stata l’istituzione dell’Osservatorio europeo per la Foresta di Montagna (OEFRN), che ha sede a St. Jean d’Avrey, vicino a Chambery nelle Alpi savoiarde, ed è diretto da un italiano, il professor Pier Carlo Zingari. A lui chiediamo di illustrarci il lavoro dell’istituto.
«L’Osservatorio – spiega Zingari – è nato su iniziativa dei comuni proprietari di boschi di montagna di tutti i paesi europei (sono 25) che posseggono territori montuosi. Sin dall’inizio (1991) fu investito di compiti assai vasti: federare le competenze nel settore forestale; assicurare la conservazione del patrimonio boschivo; garantire l’insieme delle funzioni naturali e sociali; consentire la gestione finalizzata a uno sviluppo locale sostenibile; sviluppare la ricerca e le tecniche di sfruttamento della selvicoltura. Dall’anno scorso, dopo la conferenza interministeriale di Lisbona, l’Osservatorio ha avuto mandato dai ministri europei di coordinare anche la specifica risoluzione del Parlamento europeo (31-1-1997) sull’adattamento della gestione forestale alle nuove condizioni ambientali e socio economiche, in collaborazione con la FAO (organizzazione ONU per l’agricoltura e l’alimentazione) e la IUFRO (Unione internazionale degli istituti di ricerca forestale), con compiti di carattere scientifico».
Dopo l’adesione di Austria, Svezia e Finlandia alla Comunità, le dimensioni di questo settore economico si sono enormemente ampliate: la Comunità europea è diventata il secondo produttore mondiale di carta e legno da lavoro, il primo importatore di prodotti forestali e il terzo esportatore.
L’Unione possiede 130 milioni di ettari di bosco che si estendono per circa i1 36% della sua superficie.
«Ciò di cui le statistiche non parlano – continua Zingari – la varietà degli ecosistemi; anche solo limitandoci alle diverse realtà italiane, pensiamo al larice della Val Susa (To) e all’abete rosso della Valle di Fiernme (Tn). In Italia c’è da considerare inoltre la frammentazione della proprietà boschiva, che per due terzi è privata, ma più sale l’altitudine più diventa patrimonio pubblico. Credo che ciò sia legato a fattori culturali oltre che storici. Si può invece riscontrare una sostanziale omogeneità di filosofie di gestione nei diversi paesi alpini, nonostante la diversità di culture e legislazioni: il concetto di sviluppo sostenibile è familiare a chi si dedica alla selvicoltura da molto tempo prima che la conferenza di Rio ne proclamasse l’importanza».
Foresta e selvicoltura creano “valore” in abbondanza: difesa del suolo; regolazione e qualità delle acque; miglioramento della qualità dell’aria e prevenzione dei cambiamenti climatici; funzioni sociali e ricreative.
La cosiddetta filiera del legno crea, nella Comunità, un giro d’affari di circa 300 miliardi di euro, pari a110% dell’industria manifatturiera; vi lavorano 2,2 milioni di persone, di cui 500.000 in Italia, più che nel settore dell’auto. Eppure, nonostante il peso di questi dati, non esiste una politica comune europea della selvicoltura.
In molti casi manca persino una politica nazionale, con obiettivi precisi e relativi finanziamenti per sostenere le attività e curare la formazione.
La selvicoltura attraversa da anni un periodo difficile e gli operatori stanno cercando soluzioni nuove. Due esempi significativi. La Bundesforste, che è il principale proprietario pubblico di foreste in Austria, ha avviato sin dai primi anni novanta una profonda trasformazione nella struttura e nella gestione del suo patrimonio con una consistente riduzione di personale e diversificazione del prodotto, valorizzando le cave, le acque minerali e trasformando le case forestali in disuso in piccole unità turistiche. La Magnifica Comunità di Fiemme, che è il maggior produttore trentino, ha cercato di migliorare l’offerta dei prodotti che escono dalle sue segherie e ha individuato dell’ecocertificazione uno strumento di marketing per valorizzare la qualità del suo legno.
Tutti gli enti che dispongono di territori così estesi devono sottostare a obblighi sociali non irrilevanti. Per ragioni paesaggistiche, ad esempio, il taglio raso (poco costoso) è praticato sempre meno e il tracciato delle strade forestali di nuova costruzione non deve essere visibile.
«La sfida dei prossimi anni – conclude Zingari – sarà quella di trovare un equilibrio tra necessità ambientali ed economiche, perché l’ambiente montano è un sistema fragile e in tale sistema l’essere umano gioca un ruolo fondamentale».