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Alp Action una storia ventennale

A colloquio con Sadruddin Aga Khan

Rivista della Montagna n° 261 October 2002  Text & photo pages 34 – 41

Tra le persone che hanno dedicato una parte considerevole della loro esistenza alla tutela dell’ambiente si può annoverare, a buon diritto, il principe Sadruddin Aga Khan, fondatore della Fondazione Bellerive nel 1977 e successivamente di Alp Action, un programma di partenariato privato per l’ambiente, il cui scopo è di “contribuire alla salvaguardia sia del patrimonio naturale e paesaggistico, sia del dinamismo culturale delle Alpi”. Entrambe hanno la loro sede a Ginevra, in Svizzera. Dal 1990, anno della sua fondazione al World Economic Forum di Davos, Alp Action ha realizzato più di 150 azioni per la tutela della natura e della cultura alpina: ha ripiantato foreste in Svizzera, Francia, Slovenia e Italia ha collaborato alla reintroduzione del Gipeto, ha risistemato sentieri naturalistici e di Grande randonnée, ha salvaguardato opere architettoniche ed artistiche delle Alpi, ha realizzato progetti di sviluppo sostenibile in Svizzera, Germania e Austria, ha creato marchi di qualità e aiutato a proteggere zone umide d’importanza nazionale. L’ultimo intervento, in senso cronologico, realizzato in Italia è stato a protezione di un’area particolarmente sensibile nel Parco Naturale delle Alpi Marittime. 

Noi italiani abbiamo spesso un problema di comprensione nei riguardi di fondazioni e organizzazioni non governative che svolgono un’attività di rilevanza sociale. Nell’Europa del nord e nel mondo anglosassone in genere, la presenza di fondazioni che finanziano progetti di carattere sociale è una consuetudine affermata da secoli.

Il nostro incontro con Sadruddin aga Khan avviene presso l’International Conference Center, proprio accanto agli uffici delle Nazioni Unite a Ginevra, durante l’intervallo tra due sessioni di conferenze del World Civil Society Forum tenutosi in luglio. Con lui c’è Susanna Trucchia, responsabile di Alp Action. Lo slogan del convegno, Voices (voci), si attaglia singolarmente ad un problema che la montagna e le Alpi in particolare hanno nel comunicare con i governi dei vari paesi d’appartenenza: far sentire la propria voce. 

Per Sadruddin Aga Khan l’esperienza sviluppata con Alp Action si aggiunge a quella maturata, per oltre trent’anni, in ambito internazionale in qualità di Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Sadruddin Aga Khan è quindi un osservatore autorevole dei mutamenti avvenuti nel mondo alpino negli ultimi cinquant’anni, sia dal punto di vista sociale sia economico. 

D: Principe che ruolo ha giocato la montagna nella sua giovinezza? 

R: Ho fatto molto alpinismo, moltissime traversate alpine e sono stato in numerosi rifugi. Sono sempre stato un appassionato della montagna. Le giornate che ricordo maggiormente – continua – sono quelle dove ho fatto del camping. Con qualche amico o guida. Ci si accampava in luoghi di paradiso, vicino a ruscelli, dove fiori e flora erano magnifici e le farfalle… Soprattutto le farfalle che oggi non ci sono più. Si poteva guardare nell’acqua dei ruscelli e vedere salamandre, pesci, gamberetti. Andavo soprattutto nelle prealpi bernesi, friburghesi e del Vaud, tutta la regione del Pays d’en Haut. Conosco molto bene la regione poiché andavo a scuola da quelle parti e quindi ci ritornavo regolarmente, ma devo dire che una delle ragioni per cui io mi sono interessato ad Alp Action è perché ho potuto vedere, ad ogni decennio, degradazione su degradazione. Non riconoscevo più certe regioni che avevo visto da giovane. E tutto questo è un problema economico. 

D: Ci racconti il lavoro di Alp Action, iniziando proprio dall’esperienza di collaborazione con il settore privato. Negli ultimi dieci anni alcune aziende hanno iniziato ad interessarsi all’ambiente: com’è successo? 

R: Penso che questo sia dovuto al fatto che l’ambiente alpino si sia molto degradato, molto velocemente, e che ci sia stata una reazione, sia del pubblico sia dei media, che ha portato una maggiore attenzione ai problemi dell’ambiente. Dai sondaggi si scopre che la maggior parte dell’opinione pubblica mette l’ambiente alpino al primo posto delle loro preoccupazioni. Ad esempio la maggior parte del pubblico che è stato consultato in Francia era contro la riapertura del tunnel del Monte Bianco. Nonostante questo il governo ne ha deciso la riapertura. 

D: E invece il settore privato? 

R: Il settore privato ha compreso che la propria clientela, la gente che è alla base della sua attività, attribuisce all’ambiente alpino un’importanza uguale, se non talvolta maggiore, agli avvenimenti culturali come la musica, le mostre, i festival, che pure sono importanti. E questo per numerose ragioni. 

D: In che senso? 

R: Quando il direttore di marketing di una grande azienda, che deve destinare una parte delle risorse alle attività filantropiche, decide di effettuare azioni che abbiano un impatto pubblicitario sul piano dell’immagine può scegliere di investire nel settore dell’ambiente, che si trova in una cattiva situazione. 

Il secondo aspetto, non meno importante, è che gli stessi manager sono spesso sorpresi, come noi del resto, che i governi siano così lenti ad agire, troppo burocratici, anche Bruxelles lo è. Collaborare direttamente con gli enti locali permette di operare immediatamente, senza passare per le inchieste, gli studi, i controlli o il processo politico dei governi. È un modo di agire più immediato e più puntuale del settore governativo. Questa è una prospettiva molto interessante per il settore privato. 

D: Può fare un esempio? 

R: Se avessimo aspettato che i governi si fossero mossi, quando si è reso necessario ripiantare degli alberi dopo i disastri delle recenti inondazioni, avremmo avuto voglia ad aspettare… Alp Action si presenta e dice: noi vogliamo trattare con le autorità locali l’azione che vorremmo fare. Si tratta sempre di qualcosa di positivo, sia per l’ambiente sia per la comunità e che è possibile realizzare in tempi brevi. 

Il terzo aspetto è che i manager sanno che i bambini, anche i loro stessi figli, sono sempre fieri e felici quando possono fare qualcosa per l’ambiente e per la natura. Per tutti i bambini è una cosa positiva. Abbiamo ripiantato alberi, sviluppato sentieri alpini per la scoperta della fauna e della flora con i bambini. Andare a vedere il restauro di un villaggio o di un alpeggio con i bambini è una cosa meravigliosa. Queste aziende comprendono l’importanza che hanno i bambini. 

D: Da quanti anni succede tutto ciò? 

D: Io credo che la reazione ai grandi problemi dell’ambiente alpino sia nata all’inizio dei grandi imbottigliamenti di traffico automobilistico, circa una ventina di anni fa, con l’eccesso di circolazione di autoveicoli, causato dalle persone che si recano in montagna sia d’estate sia d’inverno, e di TIR riducendo l’accessibilità delle stazioni alpine. Quando la gente ha incominciato a chiedersi se era necessario passare due giorni in auto per arrivare fino ad Aosta, Courmayeur, Chamonix o Val d’Isere. La montagna riscoperta come alternativa al mare. È un po’ lo stesso problema che si vive sulle spiagge ad agosto. Credo che sia dovuto un po’ a questo, probabilmente. 

D: E se diamo uno sguardo alle ragioni economiche del sottosviluppo? 

R: Per la montagna la politica agricola della Comunità Europea (la PAC), basata su un’agricoltura intensiva e sulle eccedenze, è stata un fallimento. Anche le autorità europee se ne sono rese conto. Ha completamente reso prigioniera l’agricoltura di montagna. I contadini di montagna non possono più competere. Questo è un problema di dimensione sociale. Molti dei contadini di montagna non hanno più avuto modo di sopravvivere. La perdita del loro lavoro ed il loro esodo ha indebolito molto le Alpi. Ci sono più cause che hanno raggiunto insieme una massa critica e che hanno portato ad un’assenza di persone che si occupassero della montagna. 

D: Avete fatto anche studi sulla cultura di montagna? 

R: Si, ce ne siamo occupati e abbiamo fatto anche dei progetti, piccoli, simbolici ma a favore della cultura di montagna, creando dei prodotti di qualità, con una denominazione di origine controllata. Come il formaggio, la salumeria, i cereali, il pane prodotto con frumento non trattato con concimi chimici. Questo funziona bene, c’è una nuova clientela per questi prodotti. È un tipo di prodotto un po’ più caro ma le persone lo acquistano. 

D: Avete trovato situazioni locali in cui è stato più facile lavorare? 

R: Si. Il nostro problema è che dobbiamo restare al di fuori della politica. Se si vuole fare un buon lavoro dobbiamo restarne al di sopra. Quando un comune ci chiede aiuto noi chiediamo che loro siano d’accordo: tutti. Se all’interno del consiglio locale c’è chi desidera fare iniziative di altro tipo: altri impianti di sci, altri parcheggi e non c’è unanimità allora noi aspettiamo che trovino l’accordo. 

Ci sono due visioni dello sviluppo. Una che è incline alla museificazione della montagna, l’altra che ne prevede uno sviluppo identico a quello della pianura industrializzata. Penso che abbiate verificato più situazioni. 

Il problema della museificazione delle Alpi è un problema che noi stessi viviamo ogni giorno. Spesso ci accusano di voler fare delle Alpi un museo. La nostra risposta è assolutamente contraria a questo, tuttavia dobbiamo trovare e mantenere un equilibrio. È questo il problema: riuscire a preservare ciò che esiste ancora avviando uno sviluppo più ecologico, più verde. 

D: E questo dove si è potuto realizzare? 

R: Le stazioni esistenti nelle Alpi che hanno adottato questa nuova filosofia, che hanno incoraggiato attività e sport in qualche modo compatibili con l’ambiente. A livello di comunità locali è un lavoro d’istruzione e di formazione delle persone, di consulenza. 

D: Dottoressa vedo che vuole aggiungere qualcos’altro… 

R: Sì, per esempio abbiamo aiutato il Parco delle Alpi Marittime a fermare la riapertura di una cava di pietra”. 

D: E avete riscontrato diversità nei differenti paesi dell’arco alpino? 

R: Si, ci sono paesi in cui è più difficile lavorare, e l’Italia è uno di questi. In Francia e Svizzera è più facile collaborare con i sindaci, in Italia è più complesso. 

D: Principe è della stessa opinione anche Lei? 

R: Si, ma dobbiamo continuate a provare – riprende Sadruddin Aga Khan – In effetti, quando abbiamo fatto la “via romana”, abbiamo trovato dei collaboratori positivi in Valle d’Aosta”. 

D: Poi c’è il problema dei trasporti. 

R: Penso che se ora non ci sarà, molto rapidamente, una nuova proposta concreta per gestire il problema dei TIR, cioè il trasporto attraverso la ferrovia di tutto quello che è il trasporto trans-europeo, non solo transalpino, a mio parere le Alpi sono spacciate. L’autotrasporto sta creando una situazione simile a quella di un ingorgo di dimensioni europee: com’era ben predibile. Il problema dei TIR è tale che l’offesa alla qualità della vita è così enorme che non può continuare, poiché andremmo incontro ad una crisi molto grave. È evidente che la gente delle valli non può accettare una tale intensità di mezzi pesanti, dunque è necessario trovare molto rapidamente delle soluzioni alternative. Questa è la grande sfida. Leggiamo il libro bianco della commissione trasporti (Loyola di Palacio) della Commissione Europea a Bruxelles e va tutto bene. Ma andava bene dieci anni fa. Occorre rivedere completamente il problema dei trasporti transalpini. 

D: Dottoressa Trucchia… 

R: Si tratta di un problema che è diffuso nelle Alpi: Brennero, San Gottardo, Monte Bianco e Frejus. Anche recentemente sono stati opposti gli interessi della Val Susa contro quelli del traforo del Bianco, ma è un approccio sbagliato”. 

D: Effettivamente è sembrata un po’ una guerra tra poveri. 

R: È molto difficile, ci sono interessi enormi in gioco. Anche Newsweek se ne è occupato recentemente. I visitatori stranieri, gli americani, i giapponesi, che vengono qui nelle Alpi e si trovano con le cime delle Alpi di fronte a loro mentre alle loro spalle scorrono i TIR, non capiscono, non era quello ch’erano venuti a cercare”. 

D: Avete fato anche degli studi sulle minoranze culturali? 

R: Non direttamente. Abbiamo fatto dei lavori con i contadini di montagna che sono ormai una minoranza in alcune stazioni alpine che si sono sviluppate per il turismo. Contadini che volevano preservare il loro modo di vivere, mantenere le loro tradizioni, incoraggiare i loro figli a restare in montagna: sovente sono persone che sono state sopravanzate dallo sviluppo turistico. Si trattava di dare a queste persone una via. Questo ha interessato molto lo sponsor. Ma non si trattava di minoranze etniche come Walser, Ladini o Occitani. Non si può dire che sia stata una scelta deliberata ma, effettivamente, si era del parere che quello non sarebbe stato un percorso gradito ai governi nazionali. C’è sempre questo problema, anche in Italia credo, tra alcune aree di montagna e Roma. Ad esempio in Savoia sono spesso in opposizione a Parigi. 

D: Principe, qual è il suo sogno nel cassetto? 

R: Il mio sogno è molto semplice: che ci sia una volontà politica. Volontà dei governi, dei parlamenti per trovare una soluzione comune ai problemi delle Alpi. Volontà politica: le convenzioni non sono firmate, quando sono firmate non sono applicate. La stessa convenzione alpina è restata un simbolo. Non ci sono approcci comuni sul trasporto ferroviario, sulla soluzione del trasporto merci. Gli svizzeri sono molto avanti agli altri nel trasporto ferroviario, ma occorre che diventino competitivi sul piano economico. Come si può pensare che si possa affermare se continua ad essere più lento e più caro di quello stradale? 

Se la crisi del tunnel del Monte Bianco fosse stata utilizzata per accelerare la realizzazione di alternative, questo sogno si sarebbe realizzato. Ma dopo la catastrofe la sola cosa importante fu di riaprirlo. Non si è mai pensato che ci potessero essere delle alternative. Ci vorrà un’altra catastrofe come quella del tunnel per riproporci la stessa problematica? Allora veramente è necessario che i governi, intendo quelli nazionali poiché il governo europeo ha spesso preso delle decisioni molto forti su tutto quello che è ambiente e anche quello che concerne le Alpi, prendano consapevolezza del problema e si rendano conto che devono salvaguardare questo patrimonio. La maggior parte dei parlamentari, ci racconta che le Alpi sono meravigliose, c’è l’aria fresca, si fanno le vacanze, che sono eterne… Ci vuole più consapevolezza. 

D: E quindi? 

R: È necessario continuare a lavorare con il settore privato e le organizzazioni non governative: in Italia ce ne sono di ottime. Credo che oggi l’uomo veda le cose troppo a breve termine. La politica è un’ottica breve: essere eletti o rieletti. Poi c’è il denaro. Se si mettono queste due cose insieme non c’è futuro per le Alpi. Vorrei avere torto ma ho l’impressione che ci sia una tendenza a dare importanza esclusivamente al valore economico e che la visione del mondo sia puramente economica e che non ci siano più considerazioni di carattere sociale, ambientale, umanitario, etico. Questo è il pericolo. A partire dal momento che le Alpi sono viste come una macchina per produrre dei soldi, non c’è scampo. A meno che le stesse risorse che producono denaro siano distrutte. Allora la gente non verrà più. In francese si dice: “uccidere la gallina dalle uova d’oro”. 

D: Lei però continua a lottare. 

R: Bisogna continuare a battersi. Quello che non comprendo è che ogni volta che si effettuano dei sondaggi, l’ambiente è sempre al primo posto nelle preoccupazioni delle persone eppure i governi la trattano come se fosse all’ultimo.