Golf & Tourism July 2008 Text & photo pages 110 – 114
L’isola di Guadalupe ha una forma molto particolare, come di una farfalla dalle ali un po’ asimmetriche, e un modo assai singolare di dare i nomi alle sue terre, alle sue cittadine e alle sue baie. Innanzitutto è il vento a dare i nomi alle due ali. Grande-Terre, ad est, non è la più estesa ma è lì che gli alisei soffiano con più forza, provenendo costantemente da nord est, e la loro impetuosità (grande) ha dato il nome al plateau calcareo che le conferisce la sua caratteristica particolare. Così Basse-Terre non è la meno elevata anzi, la cima del vulcano La Soufriere raccoglie tutta l’umidità delle nuvole più basse, regalando alle sue pendici una vegetazione incredibilmente lussureggiante e con il suo rilievo smorza la forza del vento (basse) riducendo l’impeto degli alisei ad una gentile brezza.
Nella baia più riparata e sicura di tutta l’isola si trova Pointe-à-Pitre che è anche il centro economico più importante dell’isola. Anche questo nome potrebbe indurre in inganno poiché la traduzione letterale (la Punta del Pagliaccio o del Buffone) non ha nulla a che vedere con la sua vera storia.
Nel 1654 un mercante olandese di nome Peter stabilì in questo luogo il suo mercato del pesce in un lembo di terra prospiciente il mare: “Peter’s Point”. Nel tempo il nome subì quella singolare traslitterazione francese che ha tuttora.
Non che Pointe-à-Pitre manchi di allegria, le sue vie sono sempre affollate e, soprattutto nel centro cittadino, è un vero azzardo parcheggiare l’automobile. La parte vecchia conserva ancora qualche bella casa coloniale e le vie che conducono a Place de la Victoire, che si affaccia sul porto e che costituisce il cuore della città, sono un unico susseguirsi di negozi e centri commerciali dove il ritmo della vita è un mix di efficienza europea e di relax caraibico piuttosto intrigante.
Ci sono però due cose che, almeno in senso figurato, sono prese molto seriamente in quest’isola: il rhum e la musica. La storia degli ultimi secoli e la fortuna stessa di Guadalupe è legata alla canna da zucchero e ovviamente al dolce liquore che si sposa magnificamente con tutti i succhi della lussureggiante frutta tropicale. Le distillerie sono così numerose sull’isola che non è possibile menzionarle tutte ma un esempio della ricchissima fantasia della gente creola, nel creare infinite variazioni sul tema, si trova al Marché couvert in Rue St-John Perse, a pochi passi dal porto, insieme alle immancabili e profumatissime spezie.
Per capire poi quanto sia importante qui la musica è sufficiente notare, gironzolando per le vie del centro, quanto siano magnifici e fornitissimi i negozi di strumenti musicali e sono numerosi i locali che di sera propongono jazz o ritmi caraibici.
Le vie del centro conducono tutte alla rada del porto ben riparato dagli alisei. Da qui partono i traghetti per le altre isole che formano l’arcipelago della Guadalupe: Les Saintes, Marie Galante e La Desirade. Ma qui giungono anche le imbarcazioni a vela impegnate nella grande traversata atlantica denominata “La route du Rhum”, che dal 1978 può vantare un’adesione sempre crescente di scafi. Ai navigatori solitari che vi partecipano può apparire quasi incongruo che, dopo aver salpato dal porto di St. Malò in Bretagna e lasciato la bellissima ma pericolosa costa sottovento della Manica, a poche miglia dal traguardo sia una costa altrettanto insidiosa ad accoglierli al loro arrivo, dopo 3500 miglia di oceano.
Il profilo settentrionale della Grande Terre è costituito da una splendida e ininterrotta scogliera che si alza sul mare esattamente come in Normandia: splendide falesie che sovrastano minuscole baie, archi naturali di roccia aggettanti sul mare, rocce che affiorano insidiosissime con la bassa marea e l’incessante rombo delle lunghe onde oceaniche che, dopo migliaia di chilometri di corsa, s’infrangono sugli scogli in un caotico spumeggiare di infiniti vortici. Uno spettacolo davvero affascinante se osservato dall’alto di uno dei tanti punti panoramici situati lungo la strada che ne percorre il limite superiore, ma una visione davvero inquietante a bordo di una barca che quel vento da nord est deve volgere a proprio vantaggio.
Dalla sommità di quelle scogliere il paesaggio appare totalmente diverso da quello del continente europeo. Le geometrie dei campi coltivati non sono quelle del foraggio, del lino o dell’orzo ma di quelle della canna da zucchero che, a perdita d’occhio, ricopre l’intero altopiano e in cielo non è la Sula bassana a volteggiare nel vento ma le ancor più grandi Fregate facilmente distinguibili per la livrea nera, il petto bianco, le grandi ali appuntite che superano i due metri di ampiezza e la tipica lunga coda divisa in due. Questi magnifici volatori – così abili nel giocare con il vento che quasi non sbattono le ali – dominano la distesa del mare, ma nella folta vegetazione della terraferma sono davvero numerose le specie di pappagallini e colorati colibrì, così frequenti a vedersi che li si può osservare ovunque ci siano dei fiori… e l’isola è piena di fiori.
Se c’è un’altra cosa da non perdere a Pointe-à-Pitre è il Marché aux fleurs che si trova nella piazza dinnanzi alla Cattedrale di S. Pietro e S. Paolo, a meno di cinque minuti a piedi da Place de la Victoire. Specialmente nel giorno della partenza, così da portarsi a casa (opportunamente imballato) un bouquet di splendidi fiori tropicali: Alpinie rosa e rosse, Becchi di pappagallo, Rose di porcellana, Uccelli del paradiso, Anthurium e molti altri ancora. Il loro splendore è davvero una costante dell’isola e quasi ogni casa se ne adorna in modo lussureggiante, visto che le più comuni bouganvillee formano siepi alte anche tre metri. I vivai sono numerosi e si trovano un po’ in tutta l’isola ma il clima è così favorevole che è altrettanto frequente incontrare cespugli selvatici e fioriti un po’ ovunque.
Persino sul campo da golf si possono vedere giocatori cercare di togliere dal green non già le foglie portate dal vento, ma i petali dei fiori caduti dalle siepi che contornano le buche. Nell’isola di Guadalupe c’è un solo campo da golf, il Golf International de Saint-François, costruito negli anni settanta insieme alla marina, all’aerodromo, agli hotel e al casinò quando la bella spiaggia di Saint-François divenne un centro turistico di prim’ordine. Tuttavia, se si considera che il vento non è sempre presente si può considerare che i campi siano due poiché la presenza degli alisei determina condizioni di gioco completamente diverse a seconda delle condizioni meteorologiche.
Fu disegnato da Robert Trent Jones Senior nel 1978 e porta molto bene i suoi anni offrendo un percorso vario e interessante per giocatori di ogni livello. Con i suoi 5990 m (par 71) non risulta corto nemmeno ai giorni nostri e ben sette buche offrono ostacoli d’acqua benché non sia questa la caratteristica peculiare del tracciato. Ad imporre un gioco preciso sono le linee di tiro, piuttosto strette, e gli ostacoli arborei ormai molto maturi che, se da un lato abbelliscono il percorso dall’altro perdonano molto poco ai tiri imprecisi. I fairway sono moderatamente ondulati e i bunker grandi anche se non profondi, ma ci sono alcuni dislivelli importanti come quello della 11, il cui green è molto rialzato, e la 14 che è un par tre di 175 m con un green ben difeso da due bunker e una splendida quinta di alberi che penalizza i tiri troppo lunghi. Là dove il percorso si fa più pianeggiante è l’acqua a creare il maggior impegno e, quando gli alisei soffiano impetuosi, a rendere gioco davvero impegnativo. La sei per esempio (un dog leg a destra par 4 di 385 m) è considerata una delle più belle dove il vento a favore sul drive di partenza può essere più di ostacolo che di aiuto. Di fatto è come giocare sui links scozzesi dove occorre tenere la pallina molto bassa. Non è un caso che la buca più difficile sia la 15, un par 5 di 470 m. È giocata tutta contro vento e piega leggermente a destra con linee molto strette, per terminare infine con un green disposto tra un gran bunker e uno specchio d’acqua che ne contorna quasi la metà del perimetro. Altra bella buca è la 18 (altro par 4 di 375 m) che offre un magnifico colpo d’occhio su tutto il campo e dov’è indispensabile non distrarsi, in quanto proprio il vento tende a spingere l’approccio alla bandiera nello specchio d’acqua che costeggia il fairway e gran parte del green. Occorre anche dire che, benché gli alisei soffino costantemente per parecchi mesi all’anno, il vento è spesso soggetto a violente raffiche alternate a pause quasi improvvise e quindi non si può in alcun modo confidare su una qualsiasi constante che si possa utilmente sfruttare.
La club house è semplice ma funzionale e alcuni lavori la rimetteranno a nuovo proprio quest’anno. I 250 membri e gli 8-9.000 green fees all’anno non ne fanno un campo affollato e si riesce a giocare con molto agio.
Le dimensioni della Guadalupe sono tali per cui anche soggiornando in uno degli hotel presenti in questa zona si può visitare molto facilmente il resto dell’isola. Le strade sono generalmente buone e talvolta ottime, anche quando affrontano tratti di costa molto impervi e decisamente spettacolari, e la strada costiera consente di percorrerne l’intero periplo indugiando in ogni insenatura.
A cominciare dalla vicina Pointe des Chateaux: la propaggine più orientale dell’isola che si slancia nell’oceano con una vista memorabile sulle due coste, a sud e a nord. Ma anche questa volta il nome non indica nessun castello se non la vaga somiglianza del grande promontorio con un susseguirsi di bastioni che proteggono la terra dalla furia del mare. Per continuare con questa singolare non corrispondenza di nomi e luoghi si può proseguire l’itinerario nella Grande-Terre con la visita di Beauport “le pays de la canne” nei pressi di Port-Louis. Il nome non deriva da una delle spettacolari baie dell’isola ma da una delle più importanti famiglie che coltivarono la canna da zucchero nei secoli passati, i Beauport, e oggi i suoi impianti sono stati trasformati in un interessante centro visita che spiega molto bene l’importanza di questa coltivazione nell’economia dell’isola e per la produzione del rhum.
Un poco più a sud e a pochi chilometri da Pointe-à-Pitre si trovano invece le bellissime foreste di mangrovie che si possono facilmente visitare partendo dalla piccola rada di Vieux Bourg.
L’altra metà dell’isola, la Basse Terre, è un altro mondo ancora. I rilievi del vulcano La Soufrière raccolgono una enorme quantità di pioggia, anche dieci metri all’anno, che trasformano i suoi ripidi pendii in un intrico verde lussureggiante di specie arboree tropicali. I sentieri che si avventurano nel suo interno sono innumerevoli ma sono sufficienti i brevi tratti che portano alle Chutes du Carbet, nei pressi di Les Jardins de Saint-Eloi, o alla Cascade aux Ecrevisses, all’interno del Parco Nazionale di Guadalupe e lungo la strada principale che attraversa le montagne, per immergersi in un mondo verde infinitamente ricco. Magari per scoprire che la maggior parte delle nostre piante ornamentali di appartamento vivono in natura su alti alberi in giardini sospesi a cinque, dieci metri di altezza e anche più su, sotto la volta verde delle grandi chiome fiorite che sovrastano cespugli fitti di bambù e felci così grandi che ci si può comodamente camminare sotto.
Calette e spiagge dove sostare sono così numerose che non è davvero possibile né onesto farne un breve elenco. Però un’isola ha sempre un lato al riparo dal vento e così, anche quando l’aliseo più forte imperversa sulla Grande-Terre, sulla costa ovest tra Vieux Fort a sud e Grande Anse a nord si trova un mare quasi calmo con l’onda dolce e lunga a lambire le spiagge riparate… e qui bagnarsi tranquillamente nell’acqua tiepida, aspettando pigramente il tramonto del sole è sempre un grande spettacolo.