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Hiking made in USA

A piedi in lungo e in largo per gli States

Rivista della Montagna n° 144 September 1992  Text & photo pages 64 – 73

Lo sappiamo: camminare è facile. Se poi si cammina in mezzo alla natura, è anche bello e piacevole, e benefico. E se poi pensiamo all’America, anzi agli Stati Uniti, ebbene, troviamo che camminare vuol dire tutto ciò insieme e nello stesso momento. Potenza immaginativa dello Zio Sam? Piuttosto, un modo di vivere.

Non è infatti difficile accorgersi come lo hiking abbia sviluppato negli americani un rapporto intenso con l’ambiente naturale e con i compagni d’avventura, un feeling che è gusto di riscoperta di una vita semplice e piacere di sviluppare rapporti umani più schietti e veri.

Abbiamo detto: hiking. Che cos’è? Da un punto di vista tecnico è un camminare che non si discosta molto da ciò che noi chiamiamo trekking. Meglio: è una sua estensione. È fattibile su qualsiasi tipo di terreno, anche pianeggiante e desertico, e assimila pure il meglio del backpacking, cioè del portarsi sulle spalle tutto (o solo) l’essenziale per poter procedere sicuri nel proprio cammino. Ed è ovviamente legato all’ambiente naturale. Proviamo dunque ad immaginarci lo hiker d’oltreoceano, e cerchiamo di capirne lo spirito. Se a noi europei in genere interessa l’ambiente naturale, quello nordamericano gode di privilegi innumerevoli, e per diversi motivi. Innanzitutto per l’estensione: per quanto l’occhio possa sfiorare l’orizzonte, in questo continente si ha la costante impressione di una vastità fuori misura. Ed è come se l’animo oscillasse di continuo tra volontà contrastanti: dallo stupore attonito e un po’ intimorito al desiderio di non tornare più indietro, di restare per sempre on the road poiché si ha la sensazione che laggiù, oltre la linea lontana dell’orizzonte, si troveranno sicuramente altre meraviglie… Insomma, con un po’ di fantasia – tornando magari al tempo delle avventure che da ragazzi si vivevano sulle pagine di Jack London o di Louis L’Amour – nello spirito dello hiking si ritrova molto di quello che vissero alcuni pionieri. Uomini rudi, sì, ma che si muovevano verso l’Ovest più per il piacere dell’ignoto, di scoprire territori assolutamente vergini e ricchi di bellezze naturali, che per il sogno di spostare il proprio campo di patate dagli esausti terreni dell’Est. Da questo punto di vista, anche se con connotazioni culturali diverse, esiste una coincidenza di vedute tra il religioso rispetto indiano della natura e la passione che quei singolari pionieri ebbero nei confronti del territorio, dapprima esplorato e poi da loro stessi protetto. È infatti grazie all’opera di scoperta, di protezione e di diffusione di una cultura ambientalista di alcuni di questi pionieri – John Muir, Lewis, Clark tanto per fare dei nomi – che oggi l’America possiede i più grandi parchi naturali del mondo, un patrimonio naturale conservato a beneficio di tutti. Una mentalità che ha prodotto effetti assolutamente sorprendenti per chi è abituato al paesaggio europeo. Gli animali, ad esempio: non più molestati, hanno assunto un comportamento di naturale indifferenza alla presenza umana, e così è possibile essere avvicinati dagli scoiattoli, sostare in mezzo ad una mandria di bisonti, incrociare sul sentiero un branco di caprioli; tutti nello stesso spazio, ognuno per la sua via. Sono questi i motivi per cui, oggi, una popolazione numericamente consistente di hikers frequenta i sentieri all’interno e fuori dei parchi naturali. Certo esistono delle regole, ma sono poche e semplici: minimo impatto, massimo rispetto della pulizia (cioè niente rifiuti), tutto ciò che è vivo o anche morto non si tocca, niente caccia nei parchi e limitazioni al di fuori di essi. Cacciare piccoli mammiferi e uccelli non è solo illegale ma è unanimemente ritenuto un atto barbaro ed esecrabile.

I backpackers

Accanto allo hiking, abbiamo citato il backpacking. Così John Hart, giornalista e scrittore di libri dedicati alla wilderness, membro attivo dello Sierra Club di San Francisco, lo descrive: “La wilderness appartiene a tutti: è un patrimonio nazionale. Il suo valore non è solo per quelli che ne fanno un uso economico diretto: i territori selvaggi hanno un particolare ulteriore significato per quelli che fanno lo sforzo di penetrarvi. Appartiene, in un certo senso, a quel grande ma ben distinto gruppo che noi chiamiamo backpackers. Oggi essi sono milioni, amanti del viaggio fuori dalle strade battute. Sono persone a cui non pesa camminare, che portano volentieri leggeri pesi sulle spalle, che ritengono l’autosufficienza un lusso. I backpackers si conquistano il loro piacere e non ci troverebbero nessun gusto se non fosse guadagnato. In effetti entrare nel mondo dei sentieri non è certo difficile. Viaggiare nella wilderness non è gratis ma è, per la maggioranza delle persone, ragionevolmente economico. Non è senza sforzo, ma se si vuole può essere certamente facile. Non è totalmente senza disagi, ma questi risultano minimi rispetto ai benefici”.

“Probabilmente la wilderness non è per tutti, ma è certamente adatta a una gran parte di quelle persone che non l’hanno ancora scoperta. Esiste, poi, un tipo di fame di wilderness che, una volta sollecitata, non trova pace se non continuando a praticarla”.

I sentieri

“Questa fame di wilderness” – continua John Hart – “cominciò a concretizzarsi nel 1930 durante gli anni della depressione, quando la maggior parte dei sentieri fu costruita. Nel periodo susseguente il sistema si è in qualche modo ridotto, ma ancora oggi lo troviamo ben funzionante. La questione dell’attraversamento delle terre da parte dei sentieri e delle persone che lo percorrono è infatti molto delicata. Per quello che riguarda le public lands, le terre del governo che coprono circa un terzo del territorio nazionale totale, esse sono gestite dal governo federale e solo alcune da quello dei singoli Stati. Ci sono quattro tipi di agenzie che li amministrano: lo United States Forest Service, il National Park Service, il Bill of Land Management (che per la maggior parte riguarda terre desertiche) e infine l’Official Land Bail Service. I primi due hanno anche specifiche attività di protezione faunistica e ripopolamento ittico”.

“Per i sentieri, i più importanti tra questi, sono i primi due: lo United States Forest Service e il National Park Service. Non so ora quale sia la lunghezza totale dei sentieri, ma è certo molto vasta. Queste sono le due grandi organizzazioni che si occupano della loro manutenzione. ln questo paese, i proprietari terrieri non conoscono vincoli di sorta, diversamente da quelli europei, in cui esiste qualche forma di diritto di pubblico accesso alle proprietà private per tracciare sentieri. Per questo ci sono e ci sono state, molte transazioni legali. Ci sono infatti alcuni sentieri che, per la loro lunghezza, attraversano terreni di diverse agenzie governative e territori privati con il consenso dei proprietari, come il “Pacific Coast Trail” e, sicuramente, anche l’Appalachian Trail”.

Per molti anni il sistema di sentieri si è ridotto perché non c’era abbastanza denaro per mantenerli adeguatamente ma, da una ventina d’anni, è attivo un movimento nazionale di conservazione e ricostruzione dei sentieri così come per i territori di wilderness. In questa preziosa attività si è certamente distinto il Sierra Club. Una pionieristica associazione che il prossimo anno compirà un secolo di vita.

Insomma, parole che ci fanno capire quanto sia “normale”, per ogni parco naturale o foresta che si visita, imbattersi in un vasto sistema di sentieri, dei quali si può avere una completa documentazione semplicemente scrivendo ai relativi Headquarter. A noi, però, interessano qui i sentieri soprannazionali che percorrono, nella loro interezza, più Stati e che costituiscono il vero e proprio patrimonio nazionale dello hiking. Essi sono essenzialmente i due menzionati: il “Pacific Coast National Scenic Trail”, sulla costa ovest, e l’Appalachian Trail ; sulla costa est, sentieri molto diversi tra di loro per caratteristiche climatiche, orografiche e naturalistiche. In più, l’American Hiking Society sta lavorando ad un progetto ambizioso: tracciare un sentiero che dalla costa est nel Delaware attraverso le alture degli Appalachi, le pianure del Midwest, le Montagne Rocciose, i deserti dell’Ovest ed infine le montagne della California, tocchi la costa del Pacifico.

Parlando di sentieri made in USA, c’è però una grande differenza da menzionare: l’Europa ha un sistema di rifugi, mentre in America ce ne sono molto pochi. È diffusa infatti la convinzione che nella vera wilderness non debba esistere alcuna opera di civilizzazione: e gli americani pensano che sia meglio spostarsi con la propria tenda, dormire sotto le stelle e bivaccare intorno al fuoco.

“Pacific Trail” e Sierra Club

Il “Pacific Coast Trail” si snoda dal confine tra California e Messico – sulle alture della Sierra – in direzione nord attraversando, nel suo percorso fino al Canada, anche l’Oregon e lo Stato di Washington: un viaggio irripetibile per la quantità e la qualità di bellezze naturali che qui si incontrano. E poi il sentiero sfiora o s’incunea in diversi parchi naturali: la Sequoia National Forest, il King’s Canyon, il Lassen VolcanicNational Park, il Crater Lake National Park, il Mount Rainier National Park e il North Cascades National Park. Sono magnifiche aree wilderness volute da pionieri come – s’è detto – John Muir, che fondò tra l’altro il Sierra Club. Anzi, va ricordato che il primo e inestimabile contributo alla salvaguardia dell’ambiente naturale che Muir e lo Sierra Club diedero agli Stati Uniti, fu quello di concepire l’idea dei parchi nazionali e di promuovere concretamente la realizzazione di quello di Yosemite. E per essere più chiari, sin dall’inizio la vocazione ambientalista del club è stata fondamentale, e oggi il 90 per cento delle sue attività sono dedicate alla conservazione dell’ambiente. Lo dice Helen Curry, responsabile delle pubbliche relazioni del Sierra Club in una lunga chiacchierata: “Abbiamo più di 600 mila soci e restiamo in contatto con loro attraverso la nostra rivista “Sierra”, bimestrale. Ogni membro appartiene poi al club dell’area in cui vive, e ci sono 57 club locali. Ognuno di loro spedisce la propria newsletter mensile: lo scopo è quello di tenere informati gli iscritti su quello che accade sui temi ambientali, sia localmente, sia a livello nazionale. Per tenere i contatti con i club locali, abbiamo uffici regionali sparsi sul territorio nazionale che svolgono, come in Oregon e Washington attraverso l’opera di volontariato, attività specifiche come la protezione antincendio”.

I viaggi? “Naturalmente organizziamo una grande quantità di uscite che vanno dal trekking in Nepal a quelli nella Sierra o nelle Montagne Rocciose. Poi viaggi in bicicletta, in canoa e qualsiasi altro tipo di escursione. Ogni club locale organizza le proprie uscite e non saprei certo dire quante siano poiché la loro attività è assai decentralizzata.

In ogni caso noi non proponiamo l’arrampicata tra le nostre attività, poiché essa implica costi di assicurazione che non è possibile affrontare. Ci sono alcuni gruppi nel sud della California che la praticano, ma non certo come attività promossa dal Sierra Club, e poi ci sono state anche molte discussioni sulle nuove tecniche di arrampicata che, con l’uso degli spit, non possono certo essere considerate rispettose dell’ambiente. John Muir, lui che disse: “lascia solo l’orma del tuo piede”, non l’approverebbe”.

La discrezionalità dei viaggi del Club è proverbiale: “I viaggi in Nepal, India o in Italia (l’anno scorso siamo stati in Dolomiti), sono organizzati da membri volontari esperti che, dietro richiesta di alcuni soci, prendono contatto con gli alberghi o quant’altro utile in zona per la realizzazione del viaggio. La pianificazione viene fatta da un “leader” che ne verifica anche i costi e che controlla ogni richiesta di adesione. Solo quando tutto è stato verificato effettuano il viaggio”.

Poi c’ è la questione dei rapporti con le amministrazioni pubbliche: “Un certo numero di volontari – dice Helen Curry – svolge un l attività di pulizia di sentieri nei territori di proprietà dello Stato. Sono aree di competenza del governo: ma capita spesso che il denaro destinato a tale scopo venga usato in altro modo e noi facciamo molta attenzione a questo aspetto. Noi volontari organizziamo a questo scopo viaggi di servizio. Abbiamo un programma di questo tipo: lavoriamo con alcune agenzie territoriali e in qualche caso svolgiamo opera di manutenzione. Il servizio è previsto anche all’estero. Il prossimo anno andremo in Russia. I costi? Bassi: è la ragione del loro successo”.

Senza contare l’attività pedagogica… “In California l’attività di pulizia non è più necessaria: i vari club hanno svolto un buon lavoro di educazione delta gente all’insegna di: “porta fuori tutto ciò che hai portato dentro!” Come il nostro sistema autostradale, anche quello dei sentieri è piuttosto pulito. Diamo a tutti un promemoria con le regole di comportamento nella wilderness: cose da fare e cose no”.

Ed è vero: perché è possibile vedere cartelli stradali che minacciano multe fino a mille dollari per chi sporca la strada in un qualsiasi modo, e altri che ricordano come in ogni caso, anche in mezzo al deserto, vi sia pur sempre il pattugliamento aereo di controllo.

“Appalachian Trail” e Appalachian Trail Conference

L”‘Appalachian Trail” ebbe vita nel 1921 e da allora è diventato uno dei più famosi e popolari itinerari di lunga percorrenza. D’altronde, dalla sua estremità meridionale – Springer Mountain, nel Nord della Georgia – a quella settentrionale – Kathadin Mountain, nel Maine – si snoda per ben 3400 chilometri lungo la dorsale degli Appalachi, nella costa est. Qualche dato: nel Maine si trova il tratto più selvaggio e meno frequentato di tutto il percorso, che diventa invece affollato negli Stati del Massachusset, New York e New Jersey, per ritornare più naturale negli Stati del Sud, Virginia, North Carolina e Georgia. Poi: lungo il percorso si trovano 230 rifugi o bivacchi, ma chi volesse avventurarsi in questa impresa è consigliato di dotarsi di tenda perché è improbabile trovarvi posto senza prenotazione durante la stagione estiva. Ancora: il sentiero attraversa numerosi parchi nazionali: Baxter State Park, White Mountain National Forest, Alleghany National Forest, il bellissimo Shenandoah National Park, Great Smoky Mountains National Park e la Chatanoochee National Forest.

Un riscontro pratico? Chi scrive ne ha percorso uno dei tratti più frequentati nel Shenandoah Park, , quello che porta al Mary’s Rock partendo dalla Skyline Drive, nel punto in cui interseca la statale 221 della Virginia. Si tratta di una cima sui 1200 metri che domina il paesaggio circostante e dalla quale si può godere del dolce paesaggio della pianura della Virginia e, più a ovest, dei rilievi degli Appalachi veri e propri. Ebbene, il sentiero si snoda con pendenze molto dolci e graduali sui pendii della cima seguendo poi, poco sotto il crinale, la linea spartiacque. È ovviamente ben tenuto, largo e con un tracciato regolare, delimitato da muretti a secco, facile da percorrere ma totalmente immerso nella vegetazione di un fitto bosco fino quasi alla sommità, a cui si arriva con una piccola deviazione. Numerosa la fauna con caprioli, scoiattoli, picchi e altri numerosi uccelli che non cercano affatto di nascondersi all’uomo. Insomma, una gran bella camminata.

La Appalachian Trail Conference, 24 mila soci, ha sede ad Harper’s Ferry (West Virginia), luogo di interesse storico perché fu qui che John Hrown, anticipatore della guerra civile americana, compì la sua storica impresa a favore dei diritti civili dei neri d’ America. L’ associazione raggruppa e coordina la quasi totalità dei gruppi che si occupano di hiking sulla costa est; così Brian H. King, responsabile delle pubbliche relazioni, ce ne parla: “L’ “Appalachian Trail” è il più lungo sentiero dell’Est. Noi della Conference coordiniamo il lavoro dei volontari. Ci sono circa 5000 volontari in 32 club che sono come sedi distaccate a cui affidiamo il tratto che è di loro competenza: loro mantengono in buono stato il sentiero, controllano la vegetazione, hanno cura dei rifugi e ne costruiscono di nuovi, gestendo il territorio. Talvolta costruiscono barriere per non permettere ai fuoristrada o alle auto di percorrerlo. Se nel loro tratto vivono specie minacciate di estinzione, devono curarne la tutela”.

Ma chi sono i volontari della Appalachian Trail Conference? “C’è una grande quantità di persone che sono in pensione” dice Brian E. King, “e altri che lavorano nei weekend o nelle vacanze. Forse da un punto di vista puramente razionale la cosa non dovrebbe funzionare, ma siccome il governo è proprietario della gran parte di queste terre, attraverso diverse agenzie di alcuni Stati e noi c’ è un accordo di cooperazione per ciò che riguarda la protezione del sentiero. E il risultato è positivo”.

La costruzione del sentiero ebbe inizio nel 1922 e fu terminato nel 1936… “Cominciammo con il tracciare 320 chilometri di sentiero. Da allora è cambiato molto poiché, a quei tempi, la maggior parte delle terre a apparteneva a privati. Negli ultimi vent’anni il governo ha cominciato a comprare una fascia di terreno di circa trecento metri nella quale passa il sentiero, per mantenerlo integro e per proteggerlo dallo sviluppo di usi che non fossero compatibili con lo hiking. Nel 1968 una legge ha dichiarato il sentiero di valore nazionale e, poco alla volta, compreremo tutta la terra su cui si snoda affinché sia stabilmente protetto”. Organizzate dei corsi speciali? “Ne abbiamo curati cinque, destinati all’addestramento di persone che hanno aiutato i volontari. Le sovvenzioni ci sono arrivate anche da molte aziende che hanno le loro sedi e stabilimenti nelle vicinanze del sentiero. Sì, siamo molto aiutati dalla gente e dalle attività di cooperazione, e molte di queste collaborazioni ci rendono denaro”.

Forse perché siete il sentiero più lungo che esista. “Forse. 3400 chilometri dal Nord della Georgia al centro del Maine, vuol dire attraversare la parte più popolata e sviluppata degli Stati Uniti. Cioè; due terzi della popolazione degli Stati Uniti si trova a meno di un giorno di viaggio in auto dal sentiero, toccato da duecento strade. È facile arrivarci, ma quando ci sei dentro è come se esistesse soltanto il bosco. In alcuni tratti si può sentire il rumore della strada, ma non si vede; in altri si cammina a fianco dei fiumi o dall’alto della cima di una montagna si possono vedere le città in lontananza. Sì, è molto vicino ma è ben lontano dal progresso dei nostri giorni”.

Brian B. King s’infervora: “Quando il sentiero fu tracciato furono scelte terre in condizioni naturali, ma in molti di quei terreni il bosco venne tagliato, circa 40 o 50 anni fa per motivi diversi. Oggi abbiamo 22 aree wilderness e il loro attraversamento considerato un’eccezione all’idea di wilderness, poiché il sentiero ha un pesante impatto su queste aree. Abbiamo cercato di ridurre al minimo le costruzioni artificiali ma, a causa dell’affollamento del sentiero abbiamo dovuto costruire protezioni contro l’erosione del sentiero stesso. Il governo? Ha il maggior ruolo nella protezione del sentiero nelle vicinanze delle grandi città dalle quali si accede più facilmente”.

Tutto questo è possibile perché avete iniziato settanta anni fa? “Forse. Forse è per questo che esiste oggi un così grande interesse nei gruppi locali. Ci sono volontari che viaggiano per le città in prossimità del sentiero, organizzano incontri con le persone del luogo e si informano sulla situazione locale. Il sentiero è un’idea che piace”.

E l’organizzazione? “All’inizio era estremamente decentralizzata. Divenne più centralizzata quando il governo ebbe bisogno di un organismo con cui colloquiare e l’interesse per il sentiero crebbe. Il governo ci delega la responsabilità, noi la rideleghiamo ai club locali ma, in ultima analisi, siano noi i responsabili, cosicché abbiamo molto da fare”.

Problemi grossi per l’acquisizione dei terreni?

“Pochi: soltanto nel tre per cento dei casi abbiamo dovuto ricorrere in tribunale per la definizione dei problemi relativi alla vendita. Oggi restano da acquistare solo 65 miglia (circa 110 chilometri), divisi in piccoli tratti, ma stiamo negoziando anche per questi ultimi”.

Ogni anno i camminatori sono più di tre milioni e mezzo: i rifiuti ? “Abbiamo avuto molti problemi nelle aree vicino alle grandi città del Nord Est, ma poiché i club locali sono molto orgogliosi della loro wilderness si sono organizzati per una vasta opera di pulizia. Tutto ciò ha avuto costi alti. Il problema, tuttavia, è legato agli automobilisti, non agli hikers. Noi collochiamo bidoni dove gli hiker possono gettare i loro rifiuti, ma per lo più vige l’etica del “porti fuori ciò che hai portato dentro”, cosicché non esistono reali problemi sul sentiero se non nelle zone attraversate da strade, che sono più frequentate da turisti che da hikers”.

I volontari

Ma davvero tutto può essere delegato ai club locali, agli hikers volontari?

Dice Cyrus Whitney, membro volontario del “New York-New Jersey Appalachian Trail” che ha sede a New York: “Oltre ad avere per membri circa settanta o ottanta gruppi locali, abbiamo seimila persone come soci individuali e per mantenere la corrispondenza necessaria, il pagamento delle quote annuali, la vendita della grandissima quantità di pubblicazioni come mappe e libri, abbiamo bisogno di personale pagato. Abbiamo inoltre la responsabilità della manutenzione dei sentieri, in accordo con gli enti governativi degli Stati di New York e del New Jersey, per un totale di circa mille miglia (1600 chilometri)”.

“L’organizzazione si è così sviluppata per poter gestire il tratto di sentiero in questi due Stati. Assegniamo parecchie miglia di sentiero ad ogni gruppo, che ha la responsabilità diretta di marcarlo, dipingere i segnavia, occuparsi dei rifiuti, insomma: fare manutenzione”.

Ma la vostra responsabilità si limita all’Appalachian Trai!? “No. Per esempio, siamo responsabili del “Lungo Sentiero” che dalla Washington Hill, che si trova nella città di New York, arriva quasi alla catena degli Adirondaks. Si trova in una delle aree più densamente popolate e per questo motivo è stato tracciato lentamente. Molto del nostro lavoro consiste nell’ottenere l’autorizzazione per il passaggio degli escursionisti dai proprietari delle terre”.

Svolgete anche opera di educazione ambientale? “Abbiamo corsi su come mantenere i sentieri, parte integrante dell’ambiente naturale: Ogni attività è condotta da volontari: possiamo affidare a professionisti il disegno di mappe o la pubblicazione di libri, ma tutte le altre attività sono svolte da volontari”.

Cosa vuoI dire essere hiker nelle vicinanze della Big Apple? “New York è molto grande: a circa un ‘ora d’auto c’è il “Lungo Sentiero” e, più in là, a circa due ore e mezza, nella catena dei Catskills altri sentieri. Difficoltà? Abbiamo una scala di difficoltà in termini di lunghezza e di altitudine: facile, moderatamente veloce, veloce/faticosa, lunga/estenuante. Danno un po’ il senso dell’avventura che ci aspetta. Poi abbiamo una vita escursionistica sociale intensa: ad esempio, nei Catskills ci sono trentacinque montagne sui 1500 metri di altezza, e per chi effettua tutte le ascensioni c’è un distintivo. Per chi le sale in inverno c’ è un altro distintivo. Ci sono 47 cime negli Adirondaks, e per chi le sale tutte c’è un altro distintivo ancora. Così ci sono 120 cime nel New England, ecc. Ma anche se non si ha nessun distintivo non importa, è soltanto un obiettivo, un’ambizione, qualcosa che lega agli altri soci”.

Nessuna competitività? “Alcuni credono che salire sulla cima di una montagna sia un’ esperienza religiosa. Si sentono più vicini a Dio anche nel folto di un bosco, ed è facile da comprendere. C’ è poi una piccola percentuale di persone che può definirsi competitiva. Corrono veloci per i boschi: cercano di arrivare più in alto il più veloce possibile”. Ad un certo punto Cyrus Whitney si ferma, e ribadisce con orgoglio: “Tutti noi siamo volontari e tutto funziona pretty well”.

Pretty well: abbastanza bene.