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Sotto il cielo degli avvoltoi

ALP n° 160 August 1998 – Text pages 34 – 41

Le montagne dei Pirenei congiungono due mari. In poco più di quattrocento chilometri dalle scogliere della regione Basca, intorno a San Sebastian giungono a Capo Creus all’estremo nord della Costa Brava passando dai venti umidi e dalle acque fredde dell’ Atlantico al Mediterraneo caldo e assolato. Queste valli mettono in comunicazione anche diverse pianure: quella del Rossiglione nel Midi francese e delle Landes del Golfo di Guascogna e quella spagnola dell’Ebro. Il loro profilo è terribilmente ripido, lo sanno i ciclisti del Tour e tutti gli escursionisti che hanno voluto cimentarsi su questi sentieri. Soltanto sulla sommità dei colli e degli alpeggi il pendio si fa più facile e morbido regalando alla vista panorami grandiosi. Quasi a metà strada tra un mare e l’altro, dal Pic d’Anie a ovest a ben oltre il Pic de la Munia, cento chilometri più a est, è stato istituito uno dei più bei parchi nazionali francesi. Lungo un centinaio di chilometri di frontiera con la Spagna e con un territorio complessivo di 250.000 ettari, il Parco nazionale dei Pirenei protegge un patrimonio naturale e umano di grande valore. 

Dall’altra parte dello spartiacque, in territorio spagnolo, si trova il Parco nazionale di Ordesa e Monte Perdido che per circa quindici chilometri confina con quello francese. In realtà lungo tutta la dorsale meridionale di questo tratto di Pirenei vi sono vaste aree dove è vietata la caccia. Tutto ciò ha creato le premesse per la realizzazione di un ambiente naturale di importanza mondiale. 

La storia di queste valli è quella delle vie di transito delle merci e della transumanza. 

Era da poco passato l’anno Mille quando i cavalieri di San Giovanni eressero l’Ospedale e la chiesa fortificata a Luz Saint Sauveur, poco sotto alle imponenti bastionate naturali di Gavarnie e della Troumouse. Sugli alpeggi gli aragonesi avevano trovato rifugio dall’invasione araba e le vie che portavano a sud dovevano essere sorvegliate e protette per i pellegrini che si recavano a Santiago de Compostela. Da qui, per il colle del Boucharo, passava infatti una delle numerose varianti della via che da tutta Europa conduceva alla tomba del Santo. 

Nei secoli successivi la minaccia araba scomparve ma rimase in uso la consuetudine, tra francesi e spagnoli, di gestire insieme gli alpeggi. Durante i tre secoli dell’ancien regime si realizzò lungo quasi tutta la catena pirenaica una “federazione” che aveva la funzione di regolare i rapporti economici e di gestione degli alpeggi. 

Ancora oggi (il 22 luglio) nella chiesa di San Giovanni si rinnova il patto di pace e collaborazione tra la gente del Barèges (la regione dov’è Luz) e gli spagnoli dell’ Aragona. 

Verso la metà del Settecento, arrivarono gli inglesi a “scoprire” i Pirenei, le valli e soprattutto le numerose fonti termali. Luz venne descritta come “la piccola Cheltenham dei Pirenei”, ma se gli inglesi scalarono queste montagne fu grazie ad alcuni pastori che diventarono guide leggendarie: Rondo, Bemard Guillembet, Marc Sesquè, Jean Henri Cazaux, Henri Laurens, Bergès. 

L’anno scorso, in occasione del centenario dell’unificazione delle due borgate in un solo comune, Argeles-Gazost (una ventina di chilometri più a valle di Luz) volle ricreare questa atmosfera fin de siècle: fiori e bandiere ai balconi e alle finestre; costume d’epoca per signore e fanciulle; concerto serale nel palazzo liberty delle terme. Tuttavia la banda del paese si Chiamava “Los Muchachos” e i ritmi e le musiche erano un miscuglio di sagra paesana francese e di feria spagnola. Tra le bancarelle il vociare era un intreccio di francese e spagnolo, di giovani che scherzavano mescolando le due lingue. 

Se non ci sono ostacoli al passaggio degli uomini e dei loro armenti figurarsi per gli animali. Camosci e stambecchi, popolavano indifferentemente i due versanti della catena. Gli avvoltoi volano di qua e di là. Gli orsi, per loro natura erratici, preferiscono tuttora il versante spagnolo perché là vi sono più greggi di pecore. Ancora oggi il venti percento dei camosci del parco francese passa l’inverno sul versante spagnolo per la minor quantità di neve. Più a ovest, nei Pirenei atlantici, molti dei cervi che nascono in territorio spagnolo migrano e si stabiliscono definitivamente nei boschi francesi. Anche il lupo, che nella penisola iberica era sopravvissuto al confine tra Spagna e Portogallo, si riaffaccia ora ai confini francesi ponendo non pochi problemi. Sono i contrasti del clima la vera forza di questa natura. Le foreste di pino silvestre si concentrano sul versante spagnolo mentre abeti e faggi dominano su quello francese. Tra le migliaia di specie vegetali ben centosessanta vivono unicamente qui. Con un po’ di attenzione si potrà osservare il Giglio dei Pirenei o il Doronicum a grandi foglie. 

Tanta ricchezza si può trovare, per esempio, proprio intorno ai laghetti sotto le pareti verticali del Circo della Troumouse. Nel secolo scorso alcuni blasonati inglesi sterminarono i grandi mammiferi (camosci, stambecchi e orsi) tra l’alta valle di Gavamie e la valle di Ordesa. Finiti gli animali iniziarono ad interessarsi ai fiori sradicando migliaia di bulbi. Per evitare di veder distruggere irrimediabilmente questo territorio Alfonso XIII, re di Spagna, il 16 dicembre 1916 istituì il Parco nazionale di Ordesa. 

Sul versante francese fu invece necessario attendere il 23 marzo 1967 per vedere la creazione del Parco dei Pirenei occidentali. Grazie a questa tutela il bilancio naturale sul versante francese è oggi positivo: da sei a otto orsi presenti nelle zone periferiche del parco, 4500 camosci (specie pirenaica), 170 individui adulti di gallo cedrone, 150 coppie di avvoltoi, 25 coppie di falco pellegrino, 17 coppie di aquila reale e 11 coppie di gipeto: il più grande volatore del nostro continente con un’apertura alare di quasi tre metri. È sufficiente alzare gli occhi al cielo con un po’ di attenzione per osservarne un esemplare. 

Il parco francese 

Il parco francese ha un fiore all’occhiello: la capacità di comunicare gli scopi e gli obiettivi del proprio lavoro e di coinvolgere le componenti sociali ed il pubblico; dai ragazzini delle elementari agli enti pubblici, dalle organizzazioni economiche al pubblico dei visitatori. Nella graziosa sede di Tarbes, Pascal Chondroyannis, direttore aggiunto del parco ce ne spiega i motivi: «Senza una buona comunicazione non riusciremmo a raggiungere i nostri obiettivi. Sul solo versante francese abbiamo ogni anno da due a due milioni e mezzo di visitatori. 

Vi sono molte strade che penetrano profondamente nella montagna e due, al Col de Somport e al Pourtalet, servono per il traffico con la Spagna. Altre come al colle del Boucharo e alla riserva della Neouvielle conducono all’interno di zone molto importanti dal punto di vista naturalistico, il cui equilibrio è fortemente minacciato. La necessità di ridurre la penetrazione delle auto deve essere inserita in un progetto di gestione globale offrendo delle “porte d’entrata” dove collocare i parcheggi, i servizi igienici, strutture per l’accoglienza e l’informazione. Stiamo realizzando uno di questi progetti alla riserva della Neouvielle. 

La presenza degli orsi ci impone di stringere il dialogo con le comunità. Uno dei compiti iniziali del parco era proprio quello di proteggerlo. In realtà questi animali vivono in boschi che sono al di fuori del perimetro dell’area veramente protetta. Noi li tuteliamo rifondendo i pastori delle loro perdite, instaurando il dialogo con le comunità affinché ne accettino la presenza. Questo lavoro impegna molto del nostro tempo ma ne vale la pena poiché l’orso è il simbolo vivente della qualità della natura». 

Anche la collaborazione tra il parco francese e quello spagnolo riveste un ruolo importante: «Fin dall’inizio la collaborazione e l’amicizia tra i due parchi fu molto attiva. Ora abbiamo una segnaletica comune e un’informazione coordinata. La stessa guida per gli escursionisti si trova sia in francese che in spagnolo. Abbiamo realizzato insieme anche un lungometraggio intitolato “Ce jour là” da cui è stato tratto un video nelle due lingue. A partire dal 1988 poi si è formalizzato lo scambio di rappresentanti nei due consigli di amministrazione. 

Da ultima non va sottovalutata la collaborazione nella stesura ed attuazione dei piani di gestione. Un paio di volte all’anno, per esempio, sui due versanti e lungo tutta la catena delle montagne guardie e volontari effettuano in contemporanea il censimento dei grandi mammiferi e dei gipeti. 

Per il resto – conclude Pascal Chondroyannis – con il parco spagnolo abbiamo in comune anche la filosofia di gestione ed il modo di risolvere i conflitti». 

II parco spagnolo 

Il Parco nazionale di Ordesa e del Monte Perdido è uno dei parchi europei di più antica costituzione. Nel 1983 è stato poi esteso dai 2.100 ettari iniziali ai 15.608 attuali per comprendere tutto il massiccio del Monte Perdido e le numerose valli che si aprono intorno a raggiera. 

Questo è il più alto massiccio calcareo d’Europa, ampio e morbidamente ondulato nella parte superiore, è invece profondamente scavato dai ghiacciai e dall’erosione nelle valli più in basso. Nella valle di Ordesa, che è un vero giardino botanico, i ghiacciai hanno scavato un profilo ad U quasi perfetto. Le pareti si ergono verticalmente offrendo un colpo d’occhio formidabile. Gli animali più facilmente avvistabili sono il sarrio (camoscio pirenaico) e la marmotta. Un tempo vivevano qui gli ultimi stambecchi pirenaici ma ora la situazione è definitivamente compromessa: sono rimaste solo due femmine. Ai primi del ‘900 la popolazione di stambecchi era già esigua e poiché sino agli anni ottanta il parco comprendeva unicamente il bosco di fondovalle e non le praterie e i ghiaioni (il terreno prediletto dagli stambecchi in estate), cacciatori e bracconieri ne decimarono la popolazione. «Nel 1986 la popolazione di stambecchi si era ridotta a pochi esemplari – spiega Luis Marquina, direttore aggiunto – Allora iniziammo uno studio sulle possibilità di salvare la specie e si volle scoprire se gli esemplari presenti nel parco costituissero una sottospecie autonoma. Nel 1993 si constatò che la popolazione residuale era di tre femmine. Tentammo la riproduzione in cattività che non diede esito positivo. Ci resta uno studio molto approfondito. Per quattro anni un ricercatore ha seguito la vita di questi animali e il loro comportamento. Possiamo dire che lo stambecco pirenaico è stata la specie estinta meglio studiata al mondo». 

Fino al 1985 l’organico era composto dal direttore e da cinque guardie. Ancor oggi non ha una sua autonomia giuridica ed economica ma è “solo” un servizio dello stato, dipendente dal Ministero dell’ Ambiente. Altre partite possono ancora essere giocate con successo: «Il gipeto – continua Marquina – è stabilmente presente. Questi rapaci si nutrono quasi esclusivamente del midollo di alcune ossa che spaccano facendole cadere dall’alto. Da dieci anni, durante – l’inverno, portiamo loro del cibo. Nel febbraio del 1997 ben trentuno esemplari volavano sul territorio del parco». 

«Questo territorio ha veramente un grande valore – conclude Marquina – non è un caso che la valle di Ordesa e il Monte Perdido (nonché il Circo di Gavarnie e quello della Troumouse proprio dall’altra parte del confine, ndr) siano un sito protetto dall’Unesco come patrimonio naturale mondiale dell’umanità, riserva “uomo-biosfera” e Zepas (Zona di protezione per gli uccelli)». 

Aste Beon 

Aste Beon è un paesino di centosessanta anime nella Valle d’Ossau, a metà strada tra Pau in Francia e il confine con la Spagna al Col del Pourtalet. Qui il Parco dei Pirenei ha protetto la “Falesia degli avvoltoi”. In una riserva naturale e realizzato una delle più belle ed interessanti “case del parco” mescolando sapientemente alcuni ingredienti: un po’ museo, un po’ supporto didattico alle scolaresche, un po’ di divertimento, un po’ di informazioni scientifiche comunicate in modo semplice e alla portata di tutti, bambini compresi. L’idea è in se semplice: aumentare la popolazione dei grifoni e farli nidificare in un luogo protetto, adatto alle loro esigenze e soprattutto circoscritto in modo da consentire Una facile osservazione. I visitatori, dopo un breve giro guidato, entrano in una sa1etta di proiezione. Dopo alcune immagini di repertorio che illustrano la vita degli avvoltoi termina la registrazione e inizia la diretta: le telecamere fissate sulla parete centinaia di metri più sopra e comandate direttamente dall’operatrice all’interno della sala vanno a curiosare nella vita quotidIana dei nidi posti sugli strapiombi della falesia. Gli avvoltoi sono del grandi volatori ma vivono in coppia, nidificano in colonie, hanno caratteristiche individuali riconoscibili e si può, per convenzione e per “spettacolo”, dar loro nomi propri: l’effetto è davvero notevole. 

Ci sono voluti quasi vent’anni per arrivare ad avere novanta coppie nidificatrici, ma lo sforzo é stato ampiamente ripagato; dal ’93 al ’96 la falesia degli avvoltoi ha potuto contare su numerosi documentari sulle reti nazionali nonché articoli sui media di vario genere, da “Montagne expansion” al “National Geographic”, da Radio France a “Elle”. Il centro riceve 50.000 visitatori all’anno ed è uno dei motori economici della valle.