Golf & Tourism March 2006 Text & photo pages 150 – 157
Un viaggio in Thailandia è sicuramente un’esperienza affascinante. È raro trovare un luogo dove le ricchezze di storia e di cultura ti accolgano con così soave gentilezza. Conosco persone che ci sono state una dozzina di volte e il loro legame emotivo con questa terra è diventato più profondo ad ogni ritorno. L’impatto iniziale con l’incredibile caos di Bangkok può sorprendere per i suoi incredibili contrasti, ma ben presto il viaggiatore più attento scoprirà che ogni diversa regione di questo Paese ha un patrimonio artistico e naturale di grande interesse.
Con oltre sei milioni di abitanti, Bangkok, è il cuore pulsante dell’economia tailandese. I grattacieli che ne disegnano lo skyline svettano lungo le superstrade a sei corsie che ne percorrono il cielo (nel senso letterale del termine), poiché si snodano all’altezza del quinto piano sopra ai tetti di molte abitazioni. Più in basso le sue strade sono affollate, sin dalle prime luci dell’alba, da un numero infinito di veicoli e le più moderne auto sfrecciano accanto ai caratteristici tùk-tùk, i piccoli e agili taxi a tre ruote che svicolano tra camion e vetture nel traffico caotico. Eppure accanto alle torri dei più importanti hotel e degli splendidi centri commerciali, dove i negozi di artigianato sono molto più simili a gallerie d’arte che a empori, vive ancora una città dove la calma regna sovrana e il frastuono dei veicoli si smorza sulle acque del Mae Nam Chao Phraya, il largo fiume che attraversa la città. È veramente semplice prendere una delle tante tail-boat, le caratteristiche lunghe lance a motore, e scivolare attraverso l’intrico di canali che costituiscono le vie del quartiere di Thonburi.
Due svolte all’interno di questo labirinto d’acqua è immediatamente si ritrova l’inconfondibile atmosfera khwaam pen thai (carattere tailandese), di una Bangkok non lontana nel tempo e completamente diversa. Le basse case in legno si affacciano direttamente sull’acqua e contendono lo spazio dei loro piccoli giardini all’elemento liquido e alla folta vegetazione spontanea che cresce lungo le rive dei canali. Alcune sono abbandonate e in decadenza ma la maggior parte sono state restaurate utilizzando i magnifici legni di questa terra. Riportate al loro originario splendore, costituiscono il segno tangibile di quanto sia ancora viva e abile la tradizione artigianale tailandese.
Non si può tuttavia comprendere l’anima di questa nazione senza apprezzarne la sua profonda religiosità. Il buddismo è una religione e filosofia di vita molto diffusa e intimamente sentita dalla maggior parte dei tailandesi. Proprio per questa ragione è doveroso visitare almeno il tempio del Buddha di Smeraldo, il Wat Phra Kaew, non solo per la grandiosità architettonica e la bellezza delle opere d’arte racchiuse in questo complesso di edifici esteso quasi un milione di metri quadrati, ma per la sua reale importanza nella vita di questo popolo così gentile e ospitale. Se poi ci si vuole concedere una immersione totale nei colori e nei profumi di questa metropoli allora val bene passeggiare in uno dei vari mercati che si trovano nella sua zona centrale, come quello dei fiori di Pak Khlong, quello indiano di Pahurat e l’immancabile Chinatown.
La domanda per un golfista, tuttavia, è sempre la medesima: vale la pena portarsi la sacca da golf fin laggiù? La risposta è senza alcun dubbio si: assolutamente si! La Thailandia possiede un gran numero di campi e molti sono di assoluto valore tecnico. Il golf gode di grande reputazione e il Bangkok Post, il principale quotidiano in lingua inglese, gli dedica immancabilmente la seconda pagina sportiva. Da molti anni questo paese è una destinazione classica per i golfisti di tutto l’estremo oriente e sono numerosi anche i giocatori provenienti dall’Australia, dal nord America e, quando da noi è inverno, anche dal nord Europa. Per quanto esistano degli ottimi campi tutto intorno alla capitale, in questo viaggio abbiamo voluto scoprire altri luoghi incantevoli, che sono la parte più autentica e forse meno nota di questo Paese.
All’estremo nord, nella provincia di Chiang Rai, la pianura coltivata lambisce le pendici delle colline dove la folta vegetazione tropicale inizia il suo incontrastato dominio che prosegue verso settentrione nella famigerata regione chiamata “Golden Triangle”: il Triangolo d’oro. Le coltivazioni di oppio si sono ormai trasferite oltre il confine in territorio laotiano, dall’altra parte del fiume Mekong, e soprattutto in Myanmar (già Birmania), ma il nome è rimasto ed è diventato uno strumento di marketing molto ingegnoso. Il contrasto tra l’ordinata geometria dei campi di riso e il verde lussureggiante della foresta tropicale dona a questa regione un fascino particolare e da la misura di un mondo contadino semplice e laborioso. È qui che troviamo due campi molto belli: il Chiangrai Santibury Golf Club e il Waterford Valley Chiangrai. Si trovano entrambi in posizione sopraelevata e offrono panorami stupendi sulla pianura circostante.
Disegnato da Robert Trent Jones II e aperto nel 1992 il campo del Santiburi Country Club è stato il primo percorso da campionato realizzato nella regione. Ha una lunghezza di 6266 metri (par 72) ed è ottimamente modellato sui fianchi della collina di cui ha conservato il più possibile la vegetazione originaria. Le prime nove buche sono su terreno piatto con numerosi ostacoli d’acqua mentre le seconde nove sono piuttosto impegnative per i dislivelli importanti e i fairway molto lunghi. La più bella, anche se non necessariamente la più difficile è la buca 17: un par tre di 114 metri a scendere su un green fortemente difeso da bunker a sinistra e da acqua a destra. Il campo è molto curato, la Bermuda sui fairway e la Tifdwarf sui green, rendono splendente il verde del campo e veloce il gioco. La club house, con la sua forma originale e ariosa, è davvero grande e molto confortevole.
Leggermente più a nord si trova il Waterford Valley Chiangrai, disegnato dalla Rathert International (USA) e che si sviluppa interamente sulle pendici di una collina. Il percorso di 6366 metri (par 72) offre quindi splendidi scorci e moderati dislivelli distribuiti lungo tutto il percorso. Magnifico il panorama sulla valle dal Tee 1 A, un impegnativo par cinque che salta un corso d’acqua con laghetto, ma anche la 2B è eccezionale. Gli ostacoli d’acqua sono un’altra delle caratteristiche principali di questo campo, che nonostante la vegetazione giovane e ricca di essenze estranee al contesto, offre uno scenario comunque gradevole. La buca più significativa è la 9B che ritorna alla club house situata in posizione dominante sulla valle e sotto alla quale campeggia il nome del campo disegnato con gran dovizia di arbusti fioriti. I green sono mossi, veloci, di difficile lettura e infatti, tecnicamente parlando, è un percorso bello e completo. Per chi volesse vivere il brivido di avventurarsi oltre la frontiera con il Myanmar c’è un’ulteriore possibilità di gioco a pochi chilometri oltre il posto di confine di Mae Sai. Il Regina Golf Club è tutto ciò che resta della dominazione inglese in questa parte della ex Birmania. Si tratta di un campo facile e dal disegno vecchio poiché fu costruito prima della II Guerra Mondiale. Ora sono stati avviati notevoli sforzi di rinnovamento ma a tutt’oggi non c’è irrigazione sul fairway che risulta quindi marrone nella stagione secca. Grazie alla tenuta dell’ottima erba (Bermuda), si può comunque giocare senza troppi problemi. I Green invece sono ottimamente curati e risultano veloci, difficili e molto in pendenza.
Il centro di Chiang Rai conta solo 40.000 abitanti ma costituisce il centro della regione e punto di partenza di molte escursioni. Il monumento religioso più importante della città è il Wat Phra Kaew, in origine chiamato Monastero nella Foresta di Bambù, dove la leggenda vuole che fu trovato il Buddha di Smeraldo oggi conservato a Bangkok. Per chi non vuole addentrarsi nell’area delle tribù delle colline ma è interessato alla storia più antica e agli aspetti più tipicamente etnici di questa regione, il Rai Mae Fah Luang Art and Cultural Park è un luogo da non perdere. Realizzato per volere della Madre dell’attuale Re, King Bhumibol Adulyadej, contiene la testimonianza culturale, etnica e architettonica di secoli di storia di questa parte del Paese.
La Thailandia di oggi si può invece osservare tranquillamente viaggiando in auto da Chiang Rai all’importante città di Chiang Mai. I villaggi che si susseguono lungo questa importante arteria sono lo specchio di una regione in veloce trasformazione ma che tuttavia conservano lo stile e la tradizione Thai.
Una delle domande che i tailandesi sono soliti fare ai turisti è: «Sei già stato a Chiang Mai?». Forse perché l’immagine idealizzata di questa città ricorda un passato glorioso di storia e di fede che è ben rappresentato dagli oltre 300 templi, di cui ben 121 solo all’interno della cinta muraria, e perché qui sono cresciute le radici di questa nazione. Il più antico, Wat Chiang Man, fu eretto nel 1296 ma anche il Wat Phra Singh, il Wat Chedi Luang e il Wat Phan Tao, per citare solo i più conosciuti, racchiudono secoli di storia e pregevoli opere d’arte.
Oggi Chiang Mai è la seconda città più importante della Thailandia, un centro moderno di oltre 200.000 abitanti che trae ancora vantaggio dalla sua particolare posizione in uno dei più importanti crocevia di tutto il sud est asiatico settentrionale. Un luogo fertile e ricco che da lungo tempo costituisce il centro di incontro delle popolazioni della Cina, del Laos, del Myanmar, della Thailandia e di un gran numero di comunità tribali come i Hmong-Mien, i Thai Lü e i Phuan che non è difficile incontrare nel variopinto mercato notturno lungo la Thanon Bamrungburi.
Poco a nord della città si trova il Royal Chang Mai Golf Resort. Se non avete mai provato l’esperienza di giocare in un giardino tropicale fiorito questo campo vi entusiasmerà. Disegnato dal cinque volte campione del British Open Championship Peter Thomson e lungo 6372 metri, il percorso si sviluppa su di un terreno leggermente ondulato, inserito in un ambiente di vegetazione matura e specchi d’acqua importanti e ben armonizzati nel disegno. Quasi fossero una componente naturale del paesaggio e non solo un mezzo per aggiungere difficoltà al gioco. La varietà di essenze arboree e fiori tropicali e il clima mite offrono uno spettacolo di splendide fioriture durante tutto l’arco l’anno. Il campo è veramente piacevole e divertente da giocare, il terreno è tenuto molto bene, i fairway sono perfetti, i green ottimi, rialzati rispetto al terreno e difesi da profondi bunker. La buca più significativa è la 17 (un par 3 di 158 metri) dove la pallina vola tutta su di un ampio specchio d’acqua e atterra su di un green ottimamente difeso da numerosi bunker. Un percorso davvero eccellente degno di un Open.
Prima di lasciare questa regione per le spiagge del sud, potreste comunque concedervi una divertente escursione al Maesa Elephant Camp che dal 1976 cura e accoglie elefanti in cattività e organizza piccoli tour a dorso di questi simpatici pachidermi e, lungo la strada, sostare in una delle numerosissime serre per la coltivazione delle orchidee.
Due ore di volo separano Chiang Mai dall’isola di Phuket dove le onde dell’oceano indiano lambiscono spiagge assolate e verdi palmizi. La costa meridionale è probabilmente la parte più conosciuta della Thailandia ma per i lettori di Golf e Turismo siamo andati a visitare due campi meno conosciuti. Il primo perché rinnovato di recente, il secondo perché assai esclusivo.
Il Laguna Phuket Golf Club è stato interamente rimodernato negli ultimi anni da Brad Hole e si è guadagnato il “Top Ten Award in Thailand” nel 2003 sia per il campo sia per la club house. Il nome indica la presenza di numerosi specchi d’acqua che tuttavia sono disegnati in modo da non risultare troppo aggressivi. Anche se questa caratteristica lo rende amichevole e piacevole da giocare, si tratta comunque di un percorso tecnico che nasconde molte insidie e che ha nella buca 17 (560 metri) uno dei par 5 più lunghi e impegnativi di tutto il sud est asiatico.
Il Blue Canyon Country Club di Phuket possiede ben due campi: il Lakes Course e il Blue Canyon Course. Se avete problemi a giocare vicino all’acqua lasciate perdere il Lakes Course (par 72 per 6519 metri): solo la 17 ne è priva e l’intera superficie del campo è coperta per più di un terzo dall’elemento liquido. È ottimamente disegnato e inserito nella vegetazione lussureggiante. Sebbene, tra i due campi presenti, sia l’unico che accetti chi paga solo il green fee non è assolutamente da sottovalutare per impegno e piacere di gioco.
Il Canyon Course (par 72 per 6565 metri) richiede tuttavia ancora un impegno maggiore. Qui si può giocare solamente se si risiede nel Country Club o se invitati dai soci. È un campo tiratissimo, preparato alla perfezione per i grandi tornei come, tra gli altri, il Jhonny Walker Classics del ’94 e del ’98. I green sono grandi, veloci e perfetti come lo sono gli stretti e lunghi faiway. Offre una vista spettacolare dalla terrazza della splendida club house poiché il suo disegno si sviluppa intorno al canyon da cui prende il nome e dal quale ricava sia la sua bellezza, sia le sue principali difficoltà. Dove non è l’acqua a disegnare i bordi del fairway allora sono la foresta tropicale, ampiamente rispettata, e gli arbusti fioriti in ogni stagione a segnarne i limiti. Il rough è rasato e pulito, per non rallentare il gioco, ma consiste di un’erba durissima che trattiene la pallina. Se non vi sentite dei campioni è meglio fare i modesti e usare un sand per togliersi dagli impicci. Yoshikazu Kato, l’architetto che ha disegnato entrambi i percorsi nel 1991, ha veramente saputo armonizzare le difficoltà tecniche con la bellezza naturale del luogo e le parole entusiaste che campioni come Gary Player e Tiger Woods hanno speso per questo campo sono effettivamente meritate.
Anche il servizio è impeccabile. Le capannine di ristoro sono ben sei e offrono sollievo al clima caldo. La club house è a dir poco sontuosa dove si trova proprio tutto, dalla jacuzzi ai lettini defatiganti, all’immancabile massaggio tailandese eseguito da mani molto esperte.