ALP n° 140 December 1996 – Text pages 48 – 57

Sono centinaia di migliaia i turisti e i viaggiatori che ogni anno si fermano in VaI di Fiemme o vi transitano per recarsi nelle altre località dolomitiche percorrendo la comoda statale 48 che sale da Ora in Val d’Adige. Pochissimi tuttavia sanno di attraversare una leggenda, perché quello che hanno conservato i fiemmesi o “fiemmazzi “, come essi amano chiamarsi, è allo stesso tempo la loro storia e la loro tradizione vissute con incredibile forza e tenacia lungo questi ultimi trentacinque secoli. In tutto questo tempo la Magnifica Comunità di Fiemme ha visto nascere, prosperare e scomparire numerosi imperi, ha contrastato l’arbitrio di innumerevoli principi e sovrani giungendo a meritarsi infine nel 1.950 il riconoscimento della suprema Corte di Cassazione che confermava la validità delle consuetudini di utilizzo della sua bellissima foresta. La comunità è la valle; la foresta è la sua ricchezza e comunità e foresta sono inscindibili. Questa in sintesi è la lezione di storia e soprattutto di civiltà che la Comunità ha costruito nel tempo.
Cavalese è il primo centro importante per chi sale dalla Val d’Adige e la sede della Magnifica si trova, più o meno nel centro di Cavalese, in Piazza Cesare Battisti 2. L’austero palazzo del sedicesimo secolo fu residenza dei vescovi di Trento nei loro soggiorni estivi e venne acquistato dalla Comunità solo nel 1850 per essere utilizzato come sede amministrativa. Qui si trova l’ufficio dello “Scario” (il legale rappresentante) e si tengono le riunioni dei “Regolaci” (rappresentanti eletti da ogni singola comunità) che avvengono nella sontuosa Sala maggiore. Sotto la volta a cassettone una cornice di affreschi illustra una serie di scene mitologiche, di insegne di vescovi e imperatori: di tutti i poteri con cui la comunità ha patteggiato la sua autonomia.
Al secondo piano si trovano la pinacoteca e il tesoro storico della Comunità, la prova documentale della sua vitalità. In una delle numerose teche c’è una striscia di pergamena larga all’incirca dieci centimetri e lunga ottanta. Il restauro ha restituito un documento morbido al tatto e con la scrittura vivida come se la penna ( è proprio il caso di dirlo) avesse appena smesso di scorrervi sopra. Se non fosse per il grosso sigillo di ceralacca con il simbolo di Enrico III di Metz, Vescovo di Trento, non parrebbe vero di tenere in mano il “privilegio Enriciano” scritto il 2 aprile del 1314 in cui si riconoscono alla Magnifica Comunità “in perpetuo le dette montagne, ve ne investiamo ed approviamo in perpetuo il vostro possesso e tenuta corporale che avete avuto e che ora avete per tutti i tempi”.
Rodolfo Tajani, curatore dell’archivio della Magnifica, ci conduce in questo cammino a ritroso nel tempo: “Il primo documento che attesta l’autonomia della valle risale al 1111 e fu redatto dal vescovo Ghedardo, cancelliere dell’imperatore Enrico. La transazione è nota col nome di “Patti Ghebardini”. Purtroppo l’originale di quel documento è andato perso però ne conserviamo l’intera traduzione italiana contenuta nel “Quadernollo” della Comunità, steso ne1533 e che è possibile vedere in un’altra teca. Il capo supremo era lo “Scario”, che durava in carica un anno e che veniva eletto il primo giorno di maggio. Aveva il compito di far osservare usanze e consuetudini e ordinare i problemi economici della Comunità, come lo sfruttamento dei boschi e dei pascoli di montagna, la manutenzione di ponti e strade. Custodiva i documenti della comunità e aveva le chiavi della prigione. Assistito da quattro “giurati di banco” sedeva al “Banco della Resòn”, dove venivano celebrati i processi penali e civili”.
I due codici aperti nelle teche recano infatti a caratteri cubitali i titoli “Del Civil” e “Del Penal”. Le origini di queste tradizioni risalgono tuttavia ad un tempo ben più remoto, a quando i primi abitatori di questa valle vivevano di caccia, pesca e pastorizia nelle foreste, allora sì vergini, della valle. Passarono indenni attraverso le incursioni celtiche, la dominazione romana e le invasioni barbariche. La Comunità gestiva il territorio, rappresentava al contempo la foresta, la popolazione e le attività economiche, amministrava la giustizia, negoziava con le comunità confinanti. Dal Medioevo in poi, man mano che nella storia si delineò la presenza di un potere centrale forte, gli attacchi a questa autonomia divennero però sempre più frequenti. Contemporaneamente si rafforzò la consapevolezza della propria forza e della propria tradizione. Praticamente quasi tutti gli Scarii dovettero far fronte a minacce più o meno gravi e oggi si sono persi gran parte dei poteri. Ma non il bosco che, come ha sancito la Corte di Cassazione, “ha natura di demanio universale, di dominio collettivo della popolazione costituita dagli abitanti con domicilio stabile nella valle, già aggregati nelle antiche Regole ed ora negli undici specificati comuni”. La leggenda è diventata realtà.
IL BOSCO
Non occorre essere esperti forestali per rendersi conto di quanto siano belle le imponenti distese di abete rosso che ricoprono le pendici di queste montagne, al di sotto e lungo tutta la bastionata di porfido dei Lagorai, sotto le crode dolomitiche del Latemar, al Passo di Lavazè; i boschi della Magnifica occupano gran parte della Valle di Fiemme. Pini, abeti bianchi, larici e faggi fanno ogni tanto capolino, in alto il sorbo degli uccellatori sfida le intemperie assieme al pino cembro ma il dominatore incontrastato è l’abete rosso con i suoi fusti alti e ritti sino a quaranta metri.
La sede operativa della gestione forestale è nella casa a fianco del Palazzo della Comunità. Al secondo piano si entra nell’ufficio del direttore Stefano Cattoi. Qui non ci sono pergamene ma scrivanie moderne, telefoni, fax, alcuni computer, stampanti, un plotter. Questa è un’azienda moderna che impiega un centinaio di persone e gestisce ventimila ettari di pascoli e foreste.
“L’intero territorio – spiega Cattoi – è suddiviso in dieci distretti omogenei. Per ognuno di essi facciamo il “piano di assestamento” che contiene le indicazioni di lavoro per dieci anni. Occorre valutare quanti e quali alberi ci sono nel distretto per stabilire quale e quanta legna si può tagliare. Il “piano” non è solo un obbligo di legge ma è il fondamento stesso della gestione forestale con cui si pianifica negli anni la gestione del bosco e, poiché i piani sono decennali, ne completiamo uno all’anno. In questo modo si può seguire meglio l’andamento del bosco che è una componente viva”. Viva e in crescita: “Il bosco sta aumentando il suo volume in legno – continua Cattoi -, negli Ultimi quaranta, cinquanta anni c’è stata una politica di risparmio. Dopo gli anni della guerra che lo avevano impoverito notevolmente si è tagliato meno di quanto crescesse. In questi ultimi anni si calcola che il volume del legno del bosco cresca di circa 60.000 metri cubi all’anno, ma noi per prudenza non ne tagliamo più di 45.000”.
LA MARTELLATA
“Nove, dodici, sei e sette”. La voce di un “custode” (guardia forestale) arriva da lontano e gli stessi numeri sono ribaditi ad alta voce da Ruggero Bolognani tecnico forestale e vice di Cattoi. “Due volte undici e cinque” e poi così ancora per una infinita serie di volte, ma non è un gioco anche se i segni che vengono impressi sui tronchi sono proprio cuori, quadri, fiori e picche. È il rito della “martellata”: l’atto con cui vengono scelte le piante da abbattere. Si segnano le piante prescelte con tre colpi ben assestati; due a levare un pezzo di corteccia (lo specchio, sul tronco e sul ceppo) e uno con il martello dell’accetta sullo specchio del ceppo a firmare la martellata.
Cuori, quadri, fiori e picche. Come si decide una martellata? “Io ho la mia autonomia – racconta Bolognani – ma discuto con i custodi perché sento di dover tener conto della loro esperienza. Occorre valutare una serie di fattori complessi: sia problematiche selvicolturali che di gestione del bosco. Devi pensare a 360 gradi: fattori idrogeologici, selvicolturali, di esbosco e tanti altri. Due volte due e quattro”.
Quando si taglia un albero? “Dipende dalla quota alla quale si trova. Sui mille metri un abete è maturo intorno ai centoventi, centotrenta anni. Poi invecchia velocemente e diventa più debole e instabile. Sui milleottocento metri invece, per crescere altrettanto impiega anche trecento anni semplicemente perché resta giovane più a lungo e invecchia più tardi. Nove, due e cinque”.
Quale risultato vi siete posti?
“Qui c’è un grande bosco coetaneo troppo esteso: con tagli distanziati nel tempo vorremmo far ricrescere un bosco coetaneo ma per gruppi. Quello che spesso non si sa è che non si potrebbe comunque lasciare bosco coltivato a se stesso senza che si verifichino gravi disastri. Come in tutte le monoculture la resistenza ai parassiti è minore poiché bosco e parassiti non si trovano in un equilibrio naturale. Lasciato a e stesso il bosco attraverserebbe di qui a cento anni una fase di grande confusione con crolli estesi”.
LA MUSICA
Il legno della VaI di Fiemme è anche armonia, musica, materia che vibra e fa vibrare l’animo dei migliori musicisti. Stradivari usava venire a rifornirsi in questa valle e i liutai odierni che vengono qui a comprare tavole armoniche da Cremona e da tutto il mondo ne conoscono bene le qualità. È praticamente impossibile riconoscerli da segni esteriori ma a causa di una leggera introflessione all’intemo di ogni anello di crescita il legno di alcuni abeti ha la capacità di restituire amplificate le vibrazioni sonore: migliore è la venatura e migliore è l’acustica. A Paneveggio, nei boschi sotto il Latemar, ma soprattutto in VaI Cadino, si trovano questi rari esemplari.
La Comunità di Fiemme e la Ditta Ciresa hanno stipulato un contratto di esclusiva e oggi le tavole armoniche prodotte qui vengono esportate in tutto il mondo con il marchio della Comunità. Fabio Ognibeni, proprietario e direttore, mostra con orgoglio il laboratorio in cui si affiancano il taglio del legname con tecniche a laser e una lavorazione manuale di altissimo livello.
“Soltanto la parte bassa dell’albero, quella senza rami, è adatta a questo scopo e inoltre abbiamo ancora una percentuale altissima di scarto. Di tutto il legno tagliato dalla Magnifica in un anno, solo 80 mc vengono selezionati per le tavole di risonanza e poco più di 3 diventano casse armoniche per pianoforti a coda, ma da noi si servono i leader mondiali nella costruzione di pianoforti: Bosendorfer (Aus), Fatioli (It), Wihl. Steinberg (Ger) e Piano Rameau (Fr). Inoltre prepariamo le tavole da cui i liutai ricavano violini, viole e violoncelli. Ci stiamo preparando, in collaborazione con la Magnifica Comunità, per poter fornire i nostri prodotti su vasta scala e ora siamo anche su Internet” (www.delta.it./ciresa). Accanto a questa produzione destinata ai liutai, nel laboratorio di Tesero si tramanda anche un’arte antica: la costruzione di organi e clavicembali. Vengono costruiti interamente in legno “perché – continua Ognibeni – è il materiale che offre più garanzie di tenuta nel tempo, come dimostrano gli organi del sei-settecento ancora in funzione”.
LA SOLIDARIETA
Questo bosco non finisce di stupire ma la sua funzione principale è legata all’economia della valle. Lo Scario è ancora la persona a cui tutta la valle affida le sorti economiche del bosco. Bruno Sommariva, attualmente in carica, sottolinea l’aspetto economico e sociale della gestione del bosco: “la Magnifica – spiega – dà lavoro a molte persone, ai forestali, ai custodi, agli operai della segheria, che peraltro è la più grossa nell’arco alpino italiano con i suoi 35.000 metri cubi di legname lavorati ogni anno. Molte altre persone ancora lavorano per noi come boscaioli e artigiani. Sono numerosi anche i giovani coinvolti stagionalmente per i lavori di censimento del bosco”.
L’utile netto della gestione forestale viene inoltre ripartito tra tutti i “vicini”.
“Certo – continua Sommariva – la quota di “utili” che diamo a ogni “capofuoco” (capofamiglia) non è di grande entità, ma abbiamo sempre aiutato i più bisognosi che qui, in valle, non sono mai stati abbandonati dalla Comunità. All’inizio di questo secolo fu la Comunità a costruire la strada che porta in Val D’ Adige e successivamente l’ ospedale di Cavalese, e vogliamo che la nostra presenza continui a essere importante nella valle anche se non ci nascondiamo le difficoltà legate al ricambio generazionale. Per noi è importante che i giovani restino legati ai valori della Comunità”.
Non è la prima volta tuttavia che la Magnifica affronta un cambiamento epocale e non c’è da temere. Come da sempre la forza di questi verdi giganti secolari veglia sulle sorti della valle, oltre i poteri, le mode o le follie dei tempi. Anche di quelli odierni.